Regia: Ron Shelton
Cast: Woody Harrelson, Wesley Snipes, Rosie Perez
Quando vidi “White men can’t jump” per la prima volta probabilmente ero ancora troppo piccolo per riuscire a capire la maggior parte delle battute del film, ma fu amore a prima vista e non un fuoco di paglia.
Il film diretto da Ron Shelton è una piccola perla da vedere col sorriso sulle labbra e senza il pregiudizio che potrebbe accompagnare un prodotto di questo tipo.
È un film sulla pallacanestro, è vero, ma sarebbe riduttivo considerarlo solo per quello.
Sin dai primi minuti ci si rende conto che il vero protagonista non è il campetto, ma chi lo abita, e il basket è soltanto la punta di un iceberg molto più grande, che si rispecchia in una cultura di strada che è filosofia e sopravvivenza ad un tempo.
Il film racconta la storia di due uomini, un bianco che si sente nero (Woody Harrelson) e un nero che ostenta il suo essere nero (Wesley Snipes), che quasi per caso si incontrano e scontrano in un rapporto d’amore e di odio continuo che si protrae per tutta la durata della narrazione.
Il mondo che li culla è fatto di espedienti, di piccoli raggiri, di modi sempre nuovi per sbarcare il lunario e per sopravvivere nella “giungla”.
La pallacanestro è solo il grande senso di un’esistenza che altrimenti il senso non ce l’avrebbe: il ground è il luogo dove sfogare piccole e grandi frustrazioni, dove incontrare la gente giusta, dove dimostrare chi è un fumatore e chi invece viene affumicato. Sull’asfalto si incontrano artisti di strada, perditempo, giocatori falliti o aspiranti tali.
I nostri passano da un campo all’altro dispensando saggezze ed errori, e dimostrando come l’uomo non sia in grado di imparare dai propri sbagli, si ritrovano al punto d’inizio, qualcuno con la vita sistemata, qualcun altro con la vista appannata dal dolore, ma in entrambi i casi in quella che non sembrerebbe essere una situazione definitiva o duratura.
Harrelson e Snipes sono straordinari dal primo momento, dando vita ad una coppia affiatata come i loro personaggi sul campo.
La regia sobria si accompagna ad una colonna sonora eccezionale, che accarezza ogni scena con il giusto piglio, contribuendo a rendere palpabili le immagini di una sceneggiatura semplice nella sua linearità quanto complessa, arguta e a volte persino profonda nei suoi esilaranti dialoghi.
L’orgoglio di essere neri si esprime proprio nelle battute taglienti e negli atteggiamenti esasperati della cultura hip hop, che racconta le nefandezze della gabbia in un modo che è comprensibile a tutti ma non è mai banale.
I personaggi caricaturali sono l’espressione stessa del film che non si prende mai sul serio e la sensazione è di un disastro imminente che alla fine dei conti non si presenta mai, neanche quando la peggiore delle ipotesi si materializza.
Gli unici personaggi seri della pellicola sono i due femminili: la donna di Sidney (Snipes), determinata ad uscire dal ghetto e dal disagio in cui non vuole assolutamente far crescere il figlioletto, e Gloria (Rosie Perez), la ragazza psicotica e scassapalle di Billy (Harrelson), che sogna di vincere alla sua personale lotteria e mentre percorre la sua strada per riuscirci incapsula il mondo in teorie strampalate che non fanno altro che confondere il suo uomo.
Sono due mondi diversi quello femminile e quello maschile: il primo sembra nascere dal bisogno di costruire per il proprio futuro, il secondo, molto più scanzonato, rappresenta la forza del non crescere mai, di cui si può anche pagare lo scotto, se necessario.
E a dirla tutta è la realtà vissuta nel ghetto che sembra essere diversa da quello che ci viene presentato come l’unico modo di vivere, perché cambiano le esigenze, cambiano i tempi, cambiano i pensieri che stanno dietro a dei concetti che potrebbero sembrare ovvi.
Così tra un canestro e un trash talking scorrono quasi due ore di un film godibile per la sua leggerezza ed esplicativo del mondo che si propone di rappresentare. Un film che lascia lo spettatore col sorriso e non pecca né di stupidità, né di un eccesso di serietà, perché che ci si trovi di fronte alla tragedia di un amore finito, ad una scommessa persa in partenza o alla necessità di costruire sulle macerie della vita, non bisogna mai scordarsi che come dice Sidney: sono tutte cazzate.
Voto: 8/10
[…] di Michael Jordan, Kobe Bryant e Lebron James, con risultati altalenanti e intenti differenti. “Chi non salta bianco è” racconta a modo suo l’amore per uno sport che è diventato uno stile di vita legandosi a doppio […]
[…] La pallacanestro di strada vista attraverso la lente di un bianco che vorrebbe essere nero e di un nero fieramente orgoglioso delle sue origini e del suo modo di rappresentarle e portarle avanti. Una commedia brillante e divertente che chiama in causa il quinto elemento e che si prende gioco degli stereotipi strizzando l’occhio agli amanti della pallacanestro e di uno stile di vita in cui l’idea di un riconoscimento all’interno della comunità si lascia accompagnare da quella relativa a una sana arroganza a proposito del proprio modo di essere. Qui la nostra recensione di Chi Non Salta Bianco è. […]