Regia: Shaka King
Cast: Daniel Kaluuya, Lakeith Stanfield, Jesse Plemons, Dominique Fishback
Candidato a sei premi oscar, “Judas and the Black Messiah” ripercorre le azioni di Fred Hampton, vice presidente delle Pantere Nere, e le vicende che portarono al tradimento architettato dagli enti federali a suo danno.
Scritto e diretto da Shaka King, il film ha il coraggio di prendere posizione in maniera forte e decisa contro i metodi usati dalle istituzioni dell’epoca per reprimere il movimento rivoluzionario, denunciando senza alcun timore i soprusi, gli inganni e le cospirazioni portati avanti dall’Fbi e dalla polizia in quella che è stata, a tutti gli effetti, una repressione mascherata da lotta al terrorismo.
La presa di posizione della sceneggiatura non indugia su un giudizio di merito rispetto ai metodi del gruppo fondato in California da Bobby Seale e da Huey Percy Newton, quanto piuttosto sulle difficoltà di costruire un movimento proletario unito e sulle lotte intestine tipiche di chi, nonostante un grande ideale, fatichi a definire e realizzare un piano ed un obiettivo tanto complicati da realizzare.
L’intensa interpretazione del protagonista (Daniel Kaluuya) e di tutto il cast e una regia che si sofferma su primi piani che sembrano leggere le intenzioni, i pensieri e gli stati d’animo dei personaggi sono magnificati da una fotografia in grado di riportarci indietro nel tempo e da una colonna sonora che sa fare da sottofondo e da tema narrante in un periodo storico che ha riportato la lotta per i diritti delle minoranze nei pensieri di tutti.
Il crescendo delle vicende raccontate e l’inevitabilità delle conseguenze di ogni scelta vengono narrate in maniera superba come quello che è uno stato di fatto, per quanto difficile da razionalizzare e comprendere a mente lucida: sono infatti gli uomini e le decisioni che sono portati a prendere, la chiave di volta dell’intero viaggio cinematografico che intende ricordare con tono alto da dove derivi il potere e a chi dovrebbe spettare, in ultima istanza.
Perché nel 2021 parlare di proletariato e diritti civili risulta ancora sensato e di fondamentale importanza, soprattutto per comprendere la rabbia e le sue conseguenze, ancora oggetto di controversie tanto nel bar all’angolo quanto nei salotti degli intellettuali.
I monologhi di Hampton e i fatti raccontati ricordano a tutti quanto sia facile cadere nella contraddizione della ricerca di una rivoluzione da salotto o nell’ignavia dell’indifferenza, dimenticando nel contempo interi popoli soggiogati dal potere costituito e ancora alla ricerca disperata di un messia capace di risollevarne le sorti e di liberarli dal giogo dei padroni.
É un film forte, “Judas and the Black Messiah”, perché trova il coraggio di parlare di socialismo e di liberazione, di vendetta e di amore incondizionato, di rivoluzione armata e di pacifismo, mettendo in chiaro che tali dicotomie restano distanti solo agli occhi di chi abbia avuto la fortuna di guardarle da un luogo distante e sicuro.
Sono passati decenni, ormai, dalla morte di Huey e poi dalle canzoni di Tupac e più di un secolo dalle preghiere disperate degli schiavi che cantavano di libertà, ma Hollywood, l’America e il mondo intero, hanno ancora bisogno di poeti, scrittori, registi o guerriglieri che sentano il bisogno di raccontare il proprio disagio e che sappiano immaginare un futuro diverso, costruito dal popolo e per il popolo.
Voto: 8/10
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