Ideatore: Ronald D. Moore
Cast: Bryan Cranston, Steve Buscemi, Janelle Monáe, Anna Paquin, Juno Temple
Stagioni: 1
Episodi: 10
Nel 1968 il prolifico Philip K. Dick si interrogava sull’entità dei sogni degli androidi, dando vita ad uno tra i romanzi fantascientifici più famosi al mondo e dal quale Ridley Scott, nel 1982, trasse l’iconico Blade Runner, entrato meritatamente tra i cult della storia del cinema grazie all’ambientazione cyberpunk e a cose che noi umani non potremmo immaginarci.
La serie antologica Electric Dreams ideata da Ronald D. Moore – noto per aver contribuito alla sceneggiatura di Star Trek negli anni ’90 e per aver trasposto al femminile il Tenente Scorpion nel suo Battlestar Galactica (2004-2009) – ci trasporta nell’universo dickiano attraverso dieci episodi indipendenti l’uno dall’altro per trama ed ambientazione, ma collegati dalle tematiche sci-fi, che si ispirano ad altrettanti racconti prodotti dalla mente geniale dello scrittore di Chicago.
Inizialmente prevista come coproduzione tra l’emittente televisiva britannica Channel 4 e la statunitense American Movie Classics, dopo l’uscita di quest’ultima dalla produzione, viene messa a punto con la collaborazione della Sony Pictures Television e rilasciata il 17 settembre 2017 nel Regno Unito. La messa in onda degli episodi negli Stati Uniti e in Italia avviene a partire dal 12 gennaio 2018 sulla piattaforma Amazon Video – che ne aveva acquistato i diritti lasciati da AMC – in ordine diverso rispetto alla diffusione britannica.
Ed è proprio a tal proposito che salta fuori uno degli aspetti problematici di Philip Dick’s Electric Dreams: il colosso di Bezos – che non sfigurerebbe, in un futuro post-bellico, nell’interpretare magistralmente l’Autofac di Dick – parte con il botto, proponendo come prima puntata l’episodio più riuscito dell’intera produzione (Real Life con Anna Paquin, bambina prodigio in Lezioni di piano, per il quale si aggiudicò l’Oscar come attrice non protagonista a soli dodici anni, nota sul piccolo schermo per aver interpretato Sookie Stackhouse in True Blood)solleticando, inevitabilmente, le aspettative del pubblico.
Aspettative altissime che vengono, purtroppo, disattese nel corso degli episodi, dalla resa altalenante: se Real Life, trasposizione contemporanea e infedele del racconto Un pezzo da museo, lascia lo spettatore ad interrogarsi su cosa sia reale e cosa sia illusorio – rendendo, in questo caso, in maniera autenticamente ansiogena uno dei temi più cari all’autore di Un oscuro scrutare –, non hanno la stessa carica emotivamente introspettica Human is, nonostante il tema della xenofobia avesse un alto potenziale di riuscita e nonostante la presenza di Bryan Cranston (tra i produttori esecutivi della serie), il volto del chimico più famoso del piccolo schermo, e Crazy diamond, nonostante gli androidi, la “coscienza quantica”, Mr Pink e le note di Syd Barrett in apertura.
La resa complessiva, però, non è completamente disastrosa. È solamente scostante: ci sono perle come i già citati Real Life ed Autofac, o come il distopico e old-fashioned (in senso buono) The Hood Maker, che ci racconta di una società priva del progresso tecnologico che ci si aspetterebbe nel futuro, ma nella quale convivono esseri umani normali e uomini dalle capacità sovrumane (e che richiama alla mente degli appassionati del genere il più celebre Minority Report), ma anche episodi meno degni di nota perché poco originali e quasi scontati nell’epilogo, come Safe and Sound o The Father Thing, o perché avrebbero reso meglio in un ambito narrativo temporalmente più esteso, come The Commuter con la sua Macon Heights.
Ma, alla luce di ciò e parafrasando liberamente la celebre questione del visionario autore americano, gli spettatori sognavano sogni elettrici? Ne avevamo bisogno oggi, dopo il successo e la fama della similmente antologica Black Mirror?
È innegabile che Black Mirror prenda ispirazione dall’universo fantascientifico di Philip K. Dick, portando sul piccolo schermo le tematiche e le ambientazioni tanto care al padre letterario degli androidi, ponendo, però, al centro della scena la critica verso il mondo contemporaneo, con ambientazioni tetre e pesantemente cariche di angoscia.
Ed è qui che sta la differenza tra le due serie tv e che rende Philip K. Dick’s Electric Dreams la serie che gli amanti della fantascienza alla vecchia maniera aspettavano.
Kill all others, episodio in cui un’America democraticamente autoritaria utilizza cartelloni pubblicitari e talk-show per la sua propaganda politica e in cui ogni forma di dissenso e di diversità viene repressa, fallisce perché cerca di essere lo specchio nero in una serie che non vuole esserlo: la fantascienza dickiana in Electric Dreams è uno spettacolo di cuore, più che di testa, come invece cerca di essere la serie di Charlie Brooker; al centro della narrazione ci sono l’essere umano e il suo universo interiore, piuttosto che la tecnologia con i suoi effetti collaterali.
I mondi delineati nei dieci episodi prodotti da Channel 4 sono figli devoti della penna di Dick e del suo tempo, sono fantascientificamente all’antica: nel 2021 non ci si aspetta un futuro in cui un treno possa portarci in una dimensione parallela o robot-maggiordomi dall’aspetto umano e dagli occhi laser (che parlano come C-3PO, per giunta).
Electric Dreams, con i suoi alti e bassi,ha riportato sugli schermi gli anni ’80, pur avvalendosi di set ed effetti speciali sempre all’altezza, rendendo fedelmente la poetica e l’immaginario di Dick: ed è per questo che l’amiamo!
Voto: 8/10