Regia: Park Chan-wook
Cast: Choi Min-sik, Yoo Ji-tae, Kang Hye-jeong
Se in un giorno di pioggia vi trovaste a fissare una cabina telefonica (dopo essere stati arrestati per ubriachezza molesta e rilasciati) e incontraste un uomo con il volto coperto da un ombrello viola, potreste ritrovarvi a vivere una situazione simile a quella del protagonista della pellicola più riuscita di Park Chan-wook e ad essere imprigionati, per quindici anni, in uno squallido appartamento con la televisione come unica amica e un quadro alla Dorian Gray a cui rivolgere i vostri tanto forzati quanto folli sorrisi.
E la vostra vicenda, raccontata sul grande schermo, potrebbe avere tanto successo da essere insignita a Cannes del Grand Prix Speciale della Giuria, entrare nei sogni cinematografici di Quentin Tarantino ed ispirare un (mediocre) remake diretto da Spike Lee.
Fortunatamente, però, visti gli sviluppi della storia, non siete voi i protagonisti di Old Boy.
Il secondo film della trilogia della vendetta di Park (che si colloca tra Sympathy for Mr. Vengeance dell’anno precedente e Sympathy for Lady Vengeance del 2005) racconta la storia di Dae-Su, un uomo comune che si ritrova in una situazione che potremmo definire eufemisticamente scomoda, dai lineamenti cupi, pulp e splatter e dai risvolti tragici in senso teatrale.
L’opera messa in scena è la storia di una duplice vendetta, carica di simbolismo e mistero, nella quale il taglio registico, attraverso elementi innovativi e sapienti inquadrature, diventa parte integrante della narrativa, scandendo i passaggi del racconto con grande maestria.
La violenza, elemento estetico e postmoderno così come rappresentata nelle migliori pellicole del regista di Reservoir Dogs (che sembrerebbe parlare la stessa lingua del sudcoreano), diviene quasi un personaggio della storia, senza scadere mai nell’esagerazione fine a se stessa.
A smorzare, poi, la drammaticità degli eventi mostrati, un uso sapiente di momenti ironici che, nel depotenziare la crudezza e la brutalità delle scene più forti, rivelano la genialità di una sceneggiatura che spicca nel panorama cinematografico contemporaneo.
Attraverso riprese magistralmente confezionate e diventate cult (tra tutte, il magnifico piano sequenza del corridoio, anticipato da un’aggiunta grafica sullo schermo alla Pulp Fiction), uno humour nero mai banale ed una colonna sonora che sa essere delicata e tagliente, furiosa e passionale, Park non sbaglia un colpo, trasponendo su pellicola il manga di Garon Tsuchiya.
Con il suo stile eclettico, Old Boy è una perla rara e caleidoscopica che ci trasporta in una cultura distante dal nostro mondo attraverso tematiche come il forte senso dell’onore di tipica matrice asiatica o il tabù che regge l’intero intreccio narrativo (nessuno spoiler, tranquilli…), che difficilmente potremmo ritrovare in un film occidentale.
O, almeno, in un film occidentale capace, con una storia simile, di convincerci: basti pensare al tentativo a stelle e strisce del 2013…
Voto: 9/10
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