Regia: David Fincher

Cast: Gary Oldman, Amanda Seyfried, Lily Collins, Arliss Howard, Charles Dance

Parlando della “magia” del cinema, l’accezione che viene data al termine vuole essere sempre assolutamente positiva e utile a sottolineare gli stratagemmi sfruttati dalla settima arte e la sua capacità di trasportare lo spettatore in mondi paralleli grazie all’uso di artifici tecnici e stilistici preclusi ad altri media di narrazione.

Fincher con il suo “Mank”, candidato a ben 10 Oscar, è come sempre bravissimo nel saper sfruttare tutto l’arsenale a sua disposizione in tal senso ed allo stesso tempo è brutale nella sua ridefinizione del termine “magia”, attribuendole quasi un significato negativo e ricordando che il pubblico, troppo spesso, potrebbe essere visto soltanto come un fruitore dello spettacolo cui viene dato in pasto il messaggio che registi, sceneggiatori e, ancora più in alto nella piramide decisionale, produttori vogliono diffondere o lasciare trasparire.

L’opera del poliedrico regista racconta le illazioni, mai del tutto confermate, sul dietro le quinte della scrittura della sceneggiatura di “Quarto potere”, acclamato e fondamentale film di Orson Welles, e sul ruolo che avrebbe avuto in tal senso lo sceneggiatore Herman J. Mankiewicz (Gary Oldman), divenuto all’epoca dei fatti inviso alle case di produzione e afflitto dai gravi problemi di alcolismo che ne hanno decretato la morte prematura.

Il film prende una posizione netta (nonostante le dichiarazioni di Fincher), accreditando la tesi che vorrebbe Mankiewicz unico sceneggiatore del film, attribuito, invece, dalla storia ufficiale ad una sua collaborazione con Welles, indagando nel contempo su una questione fatta di intrighi politici e lotte di potere.

La sceneggiatura, scritta in parte in modo da voler somigliare proprio ad una sceneggiatura (oltre ai flashback sono da notare le inquadrature ai block notes del protagonista, inserite come elemento di taglio come farebbe un bravo scrittore chiamato a delineare una scena che dovrà diventare visiva), è originale e scorrevole, e sa alternare ad un’atmosfera drammatica e tesa dei momenti più rilassati dai quali traspare l’animo dello sceneggiatore chiamato in causa.

L’ottima scrittura (volutamente arzigogolata e capace di richiamare il film che in qualche modo è l’oggetto del racconto) viene accompagnata, e forse superata, da una realizzazione tecnica straordinaria che riesce nell’intento di riportare in vita l’America della depressione e gli stili cinematografici dell’epoca.

Il regista di “Fight club” è scrupoloso nel valorizzare i dettagli e nel costruire scene d’insieme evocative ed eloquenti e, nonostante un ritmo non altissimo (comunque adatto ad un film biografico), sa essere geniale nel delineare la psicologia dei suoi personaggi anche semplicemente attraverso l’uso di inquadrature o dettagli di luce che colpiscono e lasciano intendere senza che venga detto (abilità fondamentale per ogni buon narratore).

La fotografia, in bianco e nero, è pulita e dal forte impatto visivo ed esalta l’idea di voler richiamare lo stile del capolavoro di Welles, aiutata nel riportarci indietro nel tempo da una colonna sonora d’eccezione, da una cura maniacale nei costumi e da una scenografia sicuramente da premiare.

In ultimo, ma solo nei termini di questa analisi, l’ottima prova degli attori completa una produzione che sembra non avere punti deboli: Gary Oldman sembra incarnarsi perfettamente nell’idea di uno sceneggiatore troppo schietto e privo di autoconservazione e riesce a regalare dei momenti di grandissima interpretazione (quasi teatrale), mentre Amanda Seyfried, nel ruolo di Marion Davies, la moglie del magnate che avrebbe ispirato “Quarto Potere”, sa essere semplicemente perfetta nel ruolo dell’attrice più intelligente e consapevole di quanto non sembrasse.

“Mank” è un film che vuole essere in parte biografico ed in parte una denuncia neanche troppo velata all’intero sistema mediatico, e sa essere metanarrazione grazie ai precisi richiami e riferimenti al mondo del cinema dell’epoca, permettendo allo spettatore di specchiarlo con quello del mondo contemporaneo.

Un film che andrebbe visto.

Perché c’è sicuramente bisogno della storia di qualcuno che sia stato in grado di ricordare ed urlare a voce alta che una narrazione, una volta uscita dalla penna, dalla macchina fotografica o dalla telecamera di un autore, diviene, a tutti gli effetti, anche del suo pubblico, e che nessun produttore dispotico avrà mai la forza di ingabbiare una voce di protesta che sappia come farsi ascoltare.

Voto: 8/10

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