Nomadland (2020)

Regia: Chloé Zhao

Cast: Frances McDormand, David Strathairn

L’idea embrionale di Nomadland (candidato a sei premi Oscar) vede la luce in seguito all’incontro della regista, la pechinese Chloé Zhao, classe 1982, e di colei che presta il volto alla protagonista, l’attrice e produttrice Frances McDormand, durante la cerimonia di premiazione degli Independent Spirit Awards del 2018.

Fu proprio la McDormand, vincitrice del titolo di miglior attrice protagonista, quella sera, per il magnifico Tre manifesti a Ebbing, Missouri, a proporre alla Zhao di collaborare alla produzione di un film basato sul romanzo d’inchiesta omonimo (2017) della giornalista Jessica Bruder (vissuta per tre anni nel suo Van Halen in giro per gli Stati Uniti, al fine di portare alla luce la realtà dei vandweller).

La storia prende le mosse dalla grande recessione e dalle conseguenze della crisi sull’economia statunitense: la sessantenne Fren (Frances McDormand), rimasta vedova, è costretta a lasciare la cittadina aziendale di Empire (Nevada) in seguito alla chiusura della locale miniera di gesso, fondamentale per la sussistenza stessa del posto (così come ci viene spiegato sullo schermo, bianco su nero).

Non potendosi permettere (e, in un certo senso, scegliendo di non volere) un tetto sulla testa, impacchettato l’essenziale, Fren si trasferisce su quattro ruote: il suo furgone bianco, Avanguardia, diviene la sua dimora mobile, mentre attraversa il paese in cerca di lavori occasionali, incontrando altri volti, solcati, come il suo, da rughe che aprono la visuale su paesaggi umani, così come, in parallelo, le strade americane (attraverso l’uso di campi lunghissimi) aprono l’orizzonte ad immensi paesaggi naturali.

Il viaggio lungo la strada di Fren è un cammino attraverso il territorio visivo e simbolico di una subcultura, quella dei vandweller, che tocca intimamente le corde dell’anima: le note di Ludovico Einaudi, le citazioni shakespeariane, le inquadrature, che si allargano su spazi ampissimi e si restringono sui primi piani della protagonista, fanno da cornice ad un itinerario interiore alla ricerca dell’elaborazione del dolore di una persona messa a dura prova dalla vita, ma profondamente attaccata ad essa.

In questi panni, la McDormand è perfettamente convincente: come nei suoi ruoli migliori, la sua più grande dote sta nell’eloquenza dello sguardo, che sa tingersi di una moltitudine di espressioni, riuscendo ad arrivare al punto senza bisogno di troppi fronzoli e parole.

Grazie alla performance della protagonista, al contributo degli altri interpreti di questa storia on the road (tra cui, ricordiamo, i sorprendenti Linda May, Charlene Swankie e Bob Wells nel ruolo di se stessi), e ad una sceneggiatura che non banalizza né caricaturizza l’emarginazione documentata, Nomadland risulta un film estremamente delicato, poetico ed intimo, che sa emozionare stravolgendo il comodo punto d’osservazione dell’uomo medio occidentale, che ci spinge a riflettere minando le nostre convinzioni, facendo luce sull’altro e il diverso e gettando ombre su una certa idea d’America, sulle conseguenze del capitalismo e sulla tirannia del dollaro.

Voto: 7.5/10

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