John Carpenter: a lezione dal Maestro

Un autore capace di precorrere e attraversare i tempi

Analizzando la storia del cinema horror non si può fare altro che ammirare lo straordinario apporto di alcuni autori che ne hanno segnato indelebilmente l’andamento grazie ad una spiccata comprensione del genere e ad una continuità nel tempo che li hanno eletti a veri e propri maestri, capaci di dettare tematiche e stili e di porre le fondamenta per interi filoni che sono, ancora oggi, una parte fondamentale dell’horror che conosciamo.

A tal proposito non ci si può certo dimenticare di John Carpenter, mostro sacro che ha unito generazioni di appassionati grazie ai propri film che sono diventati cult e autentiche pietre miliari della settima arte.

Limitarsi, però, a definire Carpenter un regista horror sarebbe riduttivo ed ingiusto nei confronti di un autore che è stato capace di esplorare diversi generi e che ha fatto della critica sociale, abilmente inserita nelle proprie opere, un tratto distintivo di notevole spessore.

Scoprire ed analizzare le caratteristiche di un artista che è stato sceneggiatore, compositore e regista diviene dunque fondamentale per capirne la grandezza, troppo spesso poco esaltata dalla critica, e per ricordare l’immensa profondità di quello che ci ha lasciato.

Lo studio, il successo, il riconoscimento a Maestro

John Carpenter nasce a New York il 16 Gennaio 1948 e già in tenera età si appassiona al cinema ponendo particolare attenzione ai western, agli horror e ai film di fantascienza da cui attingerà moltissimo per costruire le proprie tematiche fondamentali e ricorrenti. Dal padre, professore di musica, erediterà invece l’amore per la composizione, a cui non rinuncerà mai e che farà diventare un tratto inconfondibile della sua carriera.

Il giovane Carpenter si dedicherà alla realizzazione di corti horror prima ancora di cominciare il liceo e realizzerà la prima opera che ci sia rimasta, “Captain voyeur” (rivalutata negli anni anche per le caratteristiche in comune con il suo “Halloween – La notte delle streghe”) durante il primo anno d’università alla USC di Los Angeles.

Il talento di Carpenter verrà riconosciuto già a partire dai suoi esordi, quando il corto a cui prendere parte come sceneggiatore, montatore e compositore, “The Resurrection of Broncho Billy” vince l’oscar dedicato ai cortometraggi mettendo in risalto le sue capacità trasversali di filmmaker a tutto tondo.

Da quel momento la carriera di Carpenter non si è più fermata: a partire da “Dark Star”, progetto universitario che trova la strada per la distribuzione, fino al suo ultimo lavoro per il grande schermo, “The Ward – Il reparto”, praticamente ogni opera a cui mette mano, occhio, penna e sintetizzatore diventa un successo, immediato o riconosciuto a posteriori, e aiuta a costruirne la fama e la reputazione, ispirando le future generazioni di autori, in particolare del genere horror.

Nel campo della fantascienza e dell’horror, infatti, troverà il terreno fertile per sviluppare la sua immaginazione e dedicherà ai due generi popolari praticamente la sua intera produzione, sapendo sfruttare al meglio i budget ridotti del cinema indipendente e riuscendo a unire sapientemente le tematiche e le ambientazioni dei due filoni.

Nel corso dei decenni i suoi film saranno oggetto di remake e studio, grazie all’originalità e alla longevità dei temi trattati, riuscendo, nel caso di “Halloween”, uno dei capostipiti slasher, a dare vita ad un sottogenere florido, in grado di resistere al tempo e ancora oggi molto amato dai fan e sfruttato da Hollywood.

Carpenter e la sua commistione di generi, temi, codici e ambientazioni sono stati spiragli fondamentali per la costruzione di un cinema meno legato a una singola idea, più aperto alle contaminazioni e ai cambi di registro, e hanno posto in qualche modo la base per quella che è l’esperienza odierna della grande sala.

Di antieroi, mostri e critica sociale

I film di Carpenter, sebbene estremamente diversi l’uno dall’altro sono facilmente riconoscibili per lo stile dell’autore e per le situazioni ricorrenti di gran parte della sua filmografia.

Molti degli horror che il nostro caro John dà alla vita presentano universi abitati da esseri soprannaturali ed entità maligne che vengono analizzati con la giusta dovizia di particolari senza però mancare nel riuscire a mantenere intorno agli stessi un’aura di mistero che li circondi per acuire il senso di terrore che siano capaci di trasmettere.

La Cosa”, “Vampires”, “Grosso guaio a Chinatown” o “Il signore del male” sono esempi calzanti di come Carpenter sia stato in grado di trasporre su pellicola incubi e deliri della narrativa e del cinema di fantascienza e dell’orrore delle generazioni che lo abbiano preceduto e di quelle che ne seguiranno i passi.

Se le creature orrorifiche cui riesce a dare vita devono tantissimo alle idee “lovecraftiane” di entità terribili provenienti da altri mondi o da altre dimensioni (basti pensare a “Il seme della follia” o a “La cosa”)e diventano un tratto caratteristico e fondamentale del suo cinema, è nell’idea di antieroe che il regista newyorkese trova la sua vera realizzazione, costruendo personaggi fondamentali, divenuti un vero patrimonio del cinema e capaci di descrivere in qualche modo anche il carattere ed il pensiero dell’autore stesso.

Snake Plissken (divenuto Jena in Italia), protagonista di “1997 fuga da New York” e “Fuga da Los Angeles” è in tal senso il più grande esempio di antieroe carpenteriano: cinico e refrattario all’ordine, il personaggio interpretato da Kurt Russell (attore feticcio di Carpenter) è diventato l’archetipo stesso del ruolo grazie ad un’interpretazione calzante e ad una caratterizzazione in grado di descriverne la psicologia nei suoi tratti fondamentali e quasi caricaturali.

Molti altri protagonisti della filmografia precedente e successiva dell’autore (Napoleon Wilson, John Nada, Jack Burton), pur con le proprie peculiarità, sono in qualche modo simili a “Jena” nelle attitudini, nei comportamenti e nella propria visione oscura e pessimista del mondo che li circondi, risultando uno dei punti di forza delle pellicole in cui vengono rappresentati e sottintendendo le idee e i pensieri del loro autore.

Perché è proprio nell’esplicitazione del suo pensiero politico e sociale che Carpenter sa distinguersi rispetto ai film di genere, inserendo un’attenta ed aperta critica sociale nelle sue opere e donando loro, in questo modo, un carattere ampio ed un’importanza autoriale che non sempre sia riscontrabile in un prodotto d’intrattenimento di quel tipo.

“Essi vivono” e “Distretto 13 – Le brigate della morte” sono i due esempi che più vengono alla mente in tal senso e delineano e riassumono la disillusione nei confronti del potere e l’attenzione per i temi sociali da parte dell’autore, sempre attento a ritrarre  con dovizia di particolari il mondo degli oppressi, la rabbia che potrebbe nascere da tale oppressione e il dispotico comportamento di governi ed istituzioni.

Così, nel cinema di Carpenter, gli eroi diventano rudi e spigolosi e incapaci di sottostare alle regole scritte da quelli che detengono, con la forza, il potere o che addirittura potrebbero essere mostri sotto mentite spoglie intenti a tenere soggiogate le masse.

Atmosfera, atmosfera e ancora atmosfera


L’arsenale a disposizione di Carpenter dal punto di vista tecnico e di scrittura è stato immenso e ne ha decretato il meritato successo di pubblico e critica.
La creazione di personaggi iconici quali “Jena” e “Michael Myers”è stata affiancata dalla capacità di essere fedele a se stesso nella produzione delle sceneggiature e nella messa in opera completa delle sue idee, rendendo omogeneo e facilmente distinguibile dai suoi appassionati ogni prodotto da lui confezionato.

La capacità, difficilmente riscontrabile, di prendere parte, da protagonista, a diversi aspetti tecnici dei suoi film lo ha certamente aiutato nel compito di costruire scenari che vengono sorretti da trama, inquadrature e musiche, capaci nell’insieme di immergere lo spettatore nei mondi immaginati dall’autore.
Atmosfera è la parola d’ordine. 

I mondi tetri che vengono raccontati dall’abile lente del regista sono ricchi di particolari sia negli spazi claustrofobici che nelle città sconfinate e vengono racchiusi da una fotografia sporca e da inquadrature ampie e riprese lunghe che acuiscono l’ansia e tengono incollati alla poltrona, aiutati in tal senso dall’uso preciso della nebbia, da ambientazioni particolarmente buie e tenebrose e da un ritmo lento che si impegna a raccontare nel migliore dei modi le tensioni e i terrori rappresentati.

A proposito di ritmo, le musiche magistralmente composte da Carpenter, scritte specificatamente per i propri film e che fanno largo uso di sintetizzatori, sono allo stesso tempo la ciliegina sulla torta e uno dei punti di interesse principali di tutto il suo lavoro, accordandosi alla perfezione con quello che è l’aspetto visivo e narrativo e riuscendo a risultare, spesso e volentieri, dei masterpiece a sé stanti, ingigantendo ed espandendo la meritatissima fama del loro creatore.

Allo stesso modo le sceneggiature che danno vita all’intero impianto narrativo sanno essere uno specchio deformato del mondo che Carpenter percepisce intorno a sé e hanno avuto il merito di ispirare le nuove generazioni così come quello di saper ripescare dalle vecchie, senza nessun timore di mescolare al proprio interno i terrori galattici e mostruosi della fantasia con i timori concreti e opprimenti della realtà.

L’artigiano dell’orrore

John Carpenter, al pari di altri grandi cineasti di genere, ha segnato un solco indelebile nella storia della narrazione, aiutando ad innalzare il livello di prodotti troppo spesso sottovalutati e relegati ad opera popolare e dallo scarso interesse culturale o artistico.
La sua capacità di lavorare con budget ridotti e la sua maestria nell’occuparsi dell’intera realizzazione delle sue opere lo hanno eletto a vero e proprio artigiano dell’orrore e gli hanno permesso di costruirsi carriere parallele a quella di regista.

Non a caso, negli ultimi anni, si è dedicato alla produzione di musica e alla scrittura di fumetti che hanno ampliato il suo universo narrativo e che hanno aiutato ad innalzare, semmai ce ne fosse stato bisogno, la sua immagine a vera e propria personalità della cultura pop.

Che si sia amanti dell’horror e della fantascienza o meno, è impossibile non apprezzare la grandezza dell’opera di un autore che sa divertire costringendo a pensare, che non abbia mai avuto paura di esprimere e proteggere i propri stili e le proprie idee e che sia stato capace di sopravvivere alle epoche.