Guillermo del Toro è uno dei registi più importanti e sottovalutati dell’industria cinematografica. E questo è un fatto, visto che, nonostante le sue opere siano conosciute e riconosciute, difficilmente si sente il nome del messicano nelle discussioni a proposito dei grandi protagonisti della nostra era di cinema, nonostante meriterebbe senza dubbio di essere inserito nel contesto.
Vincitore di tre premi Oscar, due per La Forma dell’Acqua come miglior film e miglior regista e uno per Pinocchio come miglior miglior film d’animazione, la sua capacità di costruire mondi fantastici che riescono a essere a un tempo macabri e romantici è una caratteristica peculiare che lo fa somigliare in questo senso a un altro autore di culto come Tim Burton, anche egli riuscito, grazie a un’estetica del tutto personale e a un sapiente uso della tecnica, a costruire un immaginario del tutto originale e assolutamente riconoscibile.
Del Toro, però, rispetto a Burton ha deciso di imperniare gran parte del suo lavoro intorno alla critica politica e a una riflessione sulla società sempre attenta al punto di vista del diverso e dell’estraneo, declinando i suoi personaggi in forme più o meno mostruose, incomprese e aliene al sentire comune e fornendo un punto di vista che viene dal basso per rimanere in basso.
In riferimento a questo, la sua innegabile passione per i mostri e per le creature inusuali deve averlo aiutato a sviluppare una sensibilità particolare per la questione e, in maniera biunivoca la sua attenzione verso gli underdog, gli invisibili e gli emarginati lo ha portato ad avvicinarsi sempre di più a personaggi che poco hanno da spartire con la massa e con la società contemporanea.
Non deve essere considerato casuale come, spesso, nelle sue opere i veri mostri siano gli essere umani, incapaci di andare oltre le apparenze e le differenze e colpevoli di atrocità non tanto dettate dalla natura quanto piuttosto dall’ego e dalla sete di potere.
Ma da dove proviene questa sua passione per i mostri che lo ha portato a diventare l’autore che è diventato e cosa è che davvero definisce il mostro per del Toro, nelle nostre comunità sempre più allargate?
Come è nata la passione di del Toro per i mostri
Il primo contatto di del Toro con quelle creature che lo affascineranno così tanto nel suo futuro da regista e scrittore avviene con il Frankenstein del 1931 diretto da James Whale e interpretato da Boris Karloff. Del Toro ha dichiarato di aver provato empatia immediata nei confronti della creatura, sicuro che nel nostro mondo non sarebbe riuscita a sopravvivere: “Ho pensato che non avrebbe vissuto a lungo. Una tale purezza non può sopravvivere nel mondo degli uomini”.
Partendo da questa idea semplice e allo stesso tempo estremamente profonda, il giovane del Toro è cresciuto con l’intenzione di redimere le creature mostruose e di costruire per loro dei mondi che significassero anche la salvezza, dedicando la prima parte della sua carriera agli effetti speciali e al trucco cinematografico, affinando così la sua visione, la capacità di tradurre in qualcosa di concreto le sue fantasie di ragazzo e trovando allo stesso tempo un posto per se stesso nel mondo: “Questo mostro che attraversa la soglia, questa anomalia, sembrava incarnare tutto ciò che pensavo fosse sbagliato in me, in un modo bellissimo. Era come se avessi scoperto un santo patrono”.
Passando alla scrittura e alla regia, il filmmaker messicano ha avuto l’opportunità di creare i mostri che aveva nella testa e di inserirli in contesti che fossero appropriati e che ne raccontassero la personalità da un punto di vista diverso rispetto a quello che viene di solito presentato nei film horror, lasciando che le vere mostruosità vengano spesso commesse dagli esseri umani come da un’altra dichiarazione che ha rilasciato nel tempo:
“Negli esseri umani il comportamento mostruoso è quando gli accordi sociali, taciti, di decenza, moralità o etica, vengono trasgrediti senza batter ciglio. Per questo dico che i veri mostri nelle nostre vite sono reali e sono umani. Sono molto palpabili. Quando un banchiere è in grado di togliere tutto a una famiglia senza pensarci due volte, quando qualcuno può distruggere la vita di qualcun altro per motivi puramente astratti, come grandi quantità di denaro, siamo di fronte a mostruosità”.
Da queste dichiarazioni possiamo continuare a riflettere sull’amore che del Toro prova per il diverso, che spesso diventa anche il più debole, da sempre in balia di una battaglia impari con chi sta al potere o con interi gruppi di persone che per sentirsi al sicuro accontentano il proprio bisogno di tenere lontano tutto quello che non è facile da comprendere o che potrebbe mettere in pericolo i propri interessi.
In Hellboy e nel suo sequel, le creature portate in campo da del Toro non sono accettate dall’umanità e sono costrette a trovare la forza nella fratellanza che costruiscono fra di loro e, pur non trovando mai l’approvazione del resto del mondo, riescono infine a scoprire il proprio spazio e ad accettare quello che sono.
In La Forma dell’Acqua la comprensione di del Toro della diversità e di come questa non dovrebbe essere stigmatizzata o esclusa si fa ancora più forte e chiara: i personaggi di del Toro hanno caratteristiche particolari, spesso incomprensibili e a volte difficili da accettare, ma restano degni di essere liberi, di trovare la propria identità e di essere rispettati per quello che sono, a prescindere dalle proprie abitudini, dalla moralità con cui sono cresciuti e dalle forme stravaganti o inquietanti che si portano dietro.
L’espressione della diversità come liberazione dal potere
Come abbiamo già detto i film di del Toro contengono spesso dei messaggi politici più o meno velati: questo è valido soprattutto per tre sue opere che hanno fatto della propria ambientazione storica una caratteristica fondamentale: La spina del Diavolo, Il Labirinto del Fauno e Pinocchio.
Il primo, ambientato nella Spagna franchista, mescola gli elementi tipici dell’horror al racconto della ribellione contro i totalitarismi e vede il suo seguito ideale nel secondo, drammatico e terrorizzante al punto da rendere persino il mondo fantastico di una bambina a essere tragico, oscuro e pericoloso. Il terzo, Pinocchio, ambientato nell’Italia mussoliniana è legato a doppio filo a quel Frankenstein che ha fatto scoccare la scintilla nel cuore del regista.
“Pinocchio e Frankenstein sono entrambi personaggi che nascono in un mondo e che poi vengono abbandonati al loro destino per capirlo. Entrambi passano attraverso questa dolorosa curva di apprendimento. Pinocchio è ambientato durante l’ascesa di Mussolini nell’Italia fascista, dove la maggior parte delle persone agisce come un burattino, tranne il burattino. È un film che si adatta perfettamente a me, alle mie preoccupazioni e alle mie domande ricorrenti”.
Il rifiuto dell’ordine prestabilito e il timore rispetto ai danni che l’omologazione e l’accettazione dello status quo a priori potrebbero causare, rendono del Toro molto vicino a John Carpenter, altro filmmaker che ha scoperto nell’horror e nei mondi fantastici una valvola per dare sfogo alle proprie idee e per raccontare metafore capaci di mettere a nudo le verità più sconvolgenti della società.
I suoi eroi, così come quelli di Carpenter, non sono perfetti e non pretendono di esserlo, al contrario delle forme di potere, più o meno oppressive o autoritarie che si ritrovano a combattere o con cui devono convivere.
La scoperta della propria identità, l’accettazione della diversità come valore, anche sociale, la capacità di andare contro l’idea dominante e di rimanere se stessi rappresentano temi fondamentali nella filmografia di del Toro e nella sua crescita come narratore.
Del Toro significa critica sociale, racconto del diverso e tanto, tanto divertimento
Il cinema è messaggio, espressione della propria creatività e intrattenimento: riuscire a coniugare questi tre aspetti fondamentali per fornire al pubblico un’esperienza che nella sua leggerezza e nella sua spensieratezza riesca a far riflettere e a creare dibattito interno ed esterno non è sempre facile e senza dubbio non deve essere considerato banale.
Guillermo del Toro ha dimostrato, nel corso della sua carriera, di sapere realizzare opere che sono prima di tutto divertenti e interessanti da scoprire, sfruttando il magnetismo dell’horror e della fantascienza e rivisitando in chiave moderna i temi classici delle arti narrative.
Se con Pacific Rim è stato capace di riportare in auge in un colpo solo i mecha e i Kaiju e con The Strain, serie tratta da una sua saga letteraria, ha espresso la sua particolare visione della figura del vampiro, il merito non può che essere conferito alla sua grande passione per un immaginario culturale ampio e che sa rifarsi alle opere di Lovecraft (altra passione del regista impossibile da non notare) come a quelle dei cineasti che lo hanno preceduto e che ne hanno segnato la crescita intellettuale.
La straordinaria bellezza visiva dei suoi lavori e la capacità di intrattenere attraverso storie e scene ben costruite e appassionanti sono naturalmente frutto di un attento sviluppo tecnico quanto di una passione incredibile per il mestiere che svolge.
Perché siamo sicuri, che al di là del successo, della fama e del compenso economico, del Toro avrebbe fatto quello che sta facendo anche soltanto per puro diletto personale, per espressione del suo mostro interiore e per il bisogno di raccontare che è tipico di ogni grande narratore.
E a noi, non resta che goderci la sua epoca.
Fonti: Npr.org – Hero-Magazine.com – Slashfilm.com
[…] di poter vedere il nuovo film dell’autore messicano, vi lasciamo al nostro approfondimento sulla passione di Guillermo del Toro per i mostri.Fonte: […]