A pochi giorni dall’uscita nelle sale del remake di Il Corvo, gli appassionati del film originale e della serie a fumetti, sebbene disillusi in tal senso, non vedono l’ora di capire se questa nuova versione saprà rendere onore al film cult con Brandon Lee.
In attesa di capire come sarà recepito dal pubblico e dalla critica il lavoro di Rupert Sanders, vogliamo parlare della versione cartacea, scritta e illustrata da James O’Barr per raccontare i due tragici eventi da cui l’autore prese ispirazione per realizzare i suoi albi.
Nel 1981, il giovanissimo fumettista, di stanza a Berlino nel corpo dei Marines, si occupava di illustrare manuali di combattimento per le forze armate quando ebbe l’idea di esorcizzare la morte della fidanzata, avvenuta qualche anno prima per mano di un guidatore ubriaco, cominciando a scrivere Il Corvo.
Il Corvo nacque dalla necessità di superare un lutto e di raccontare un amore inarrestabile
In un’intervista con Il Baltimore Sun, O’Barr ha spiegato:
“Ho provato tutti gli sfoghi tipici dell’angoscia, come l’abuso di sostanze e l’andare in discoteca o alle feste tutte le sere, cercando di rimanere insensibile a tutto il più a lungo possibile. Alla fine sono stato abbastanza intelligente da capire che fosse un vicolo cieco, e così ho pensato che, forse, mettendo qualcosa su carta avrei potuto esorcizzare un po’ di quella rabbia”.
Fondamentale per la costruzione della trama dell’opera fu un’altra storia d’amore finita in tragedia di cui lo scrittore aveva sentito parlare e che riguardava una coppia uccisa per un anello di fidanzamento.
In un libro a proposito della produzione del film aveva poi riferito:
“Ho pensato che fosse assurdo, un anello da 20 dollari, due vite sprecate. Quello è diventato l’inizio del punto focale, l’idea che potesse esistere un amore così forte da trascendere la morte, da rifiutare la morte, e il pensiero che quest’anima non avrebbe avuto pace fino a che non fosse riuscita a sistemare le cose”.
Il tentativo di superare il lutto da parte di O’Barr, però, non fu una strada semplice e priva di ostacoli. In un’altra intervista ha infatti aggiunto:
“Pensavo che mettendo nero su bianco un po’ di questo odio avrei potuto eliminarlo dal mio sistema. In realtà non facevo altro che intensificarlo: mi concentravo su tutta questa negatività. Mentre ci lavoravo, le cose peggioravano sempre di più, diventavano sempre più oscure. Quindi, la cosa, non ha avuto l’effetto desiderato: probabilmente ero più incasinato di prima. È stato solo dopo essere diventato amico di Brandon, aver vissuto la sua morte e aver visto il film, forse 17 volte, che ho finalmente raggiunto quella che oggi si chiama chiusura, mentre visitavo la sua tomba a Seattle”.
Una storia davvero maledetta fin dall’inizio, quella di Eric e Shelly, capace, forse anche grazie a questa forte componente emotiva, di connettere milioni di appassionati in tutto il mondo. Ora, la palla passa alla nuova versione e all’interpretazione di Bill Skarsgård, chiamato al difficile compito di replicare quanto fatto dal figlio di Bruce rispettandone la memoria.
Fonte: Kaos2000.net – Dike Blair – Writing