Mettere insieme un thriller horror adolescenziale come La Babysitter, fatto di ogni tipo di riferimento sessuale, di scene splatter a profusione, di continue citazioni e di una sana dose di autoironia e strutturato da una regia frenetica e precisa non può che risultare in un prodotto furbo e divertente.
Molto meno scontato il fatto che da un lavoro di questo tipo possa uscire fuori un film a suo modo solido e brillante, capace di prendere il cliché e il già visto per fare qualcosa di nuovo, genuino, originale e moderno senza risultare troppo artificioso.
McG si scatena dietro la macchina da presa supportato da una sceneggiatura che, senza troppi fronzoli, regala colpi di scena ribaltando i temi classici dello slasher e del racconto di formazione e sfruttando un cast assolutamente adatto alla storia e al mood presentato
Un ragazzino introverso e la babysitter dei sogni
Cole è un ragazzino bloccato da mille paure e che fatica a farsi accettare dai suoi coetanei: una delle poche persone con cui riesce ad avere un rapporto e da cui si sente compreso è la sua babysitter Bee, con cui riesce a essere se stesso senza sentirsi giudicato.
Mentre i suoi genitori sono in viaggio, Cole viene affidato a Bee e, curioso di capire cosa faccia la ragazza una volta che lo abbia messo a dormire, rimane sveglio per sbirciare i suoi movimenti notturni, incuriosito anche dalle insinuazioni fatte dalla sua piccola vicina di casa da cui è attratto.
L’affascinante babysitter, però, nasconde ben altro che il sospettato incontro clandestino con il proprio fidanzato e Cole si ritroverà a dover lottare per la propria sopravvivenza in una notte che non potrà mai dimenticare e che lo cambierà per sempre.
Una sceneggiatura semplice e intelligente che non si lascia andare a troppi fronzoli
La Babysitter è prima di tutto un film divertente che riesce a fare del suo prendersi in giro il pilastro su cui fondare una narrazione semplice e tutto sommato efficace proprio vista questa fondamentale e necessaria premessa.
L’opera del regista di Terminator Salvation è la concretizzazione del parco giochi di ogni fan dello slasher classico: grazie a una sceneggiatura allo stesso tempo semplice ed efficace, sfrutta infatti i dettami classici del genere ribaltando la figura della Final Girl prendendosi la libertà di ironizzare sui luoghi comuni e sugli espedienti tipici della branca horror per realizzare un film che intrattiene e sa lasciare un sorriso soddisfatto sulla bocca degli spettatori più smaliziati.
Allo stesso tempo, La Babysitter si diverte a sovvertire il racconto di formazione costringendo il piccolo eroe della storia a una maturazione repentina segnata dalla notte più folle che si possa immaginare che lo costringerà a superare ogni paura per sopravvivere al pericolo.
La regia e il montaggio ipercinetici e fortemente suggestivi si sposano perfettamente con il mood di un prodotto che tradisce le esperienze nel mondo dei videoclip del filmmaker del Michigan e che sa essere contemporaneo nonostante una struttura narrativa di certo non inedita.
La furbizia di offrire allo spettatore elementi di sicuro appeal per il pubblico più giovane insieme a elementi facilmente riconoscibili dagli appassionati più esperti contribuisce alla creazione di un film che usa il già visto per tirare fuori la propria anima autoironia rimanendo seducente ed esteticamente molto moderno.
Buono il lavoro del cast e in particolare di Samara Weaving, vero centro d’interessa intorno a cui gravita l’opera e che si dimostra assolutamente all’altezza, con un’interpretazione dalle tante sfaccettature che le permette di portare in scena un personaggio complicato da leggere e da mettere in contrapposizione con le tante macchiette che lo circondano.
La Babysitter è un divertente film da popcorn
La Babysitter è un lungometraggio che, in piena controtendenza con quanto presentato dal mercato, si limita a 85 minuti di girato riuscendo a condensare tutto ciò che volesse raccontare e potendo permettersi anche un’introduzione piuttosto corposa e propedeutica alla parte centrale e finale, ad altissima intensità.
Il mood da B-Movie non toglie assolutamente nulla all’esperienza cinematografica che deriva dalla visione dell’opera sceneggiata da Brian Duffield, che richiede la giusta capacità di sospendere l’incredulità in cambio di una commedia horror che unisce i toni grotteschi a uno stile accattivante da teen movie.
Un film che sa intrattenere che non lascerà delusi gli amanti del genere e che continua nel migliore dei modi il filone delle commedie horror, sempre più al centro della scena e tecnicamente interessanti, come dimostrato anche dal gioiellino Vampires vs. the Bronx.
Voto: 7
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