Tim Burton, il visionario regista celebre per l’utilizzo della tecnica dello stop motion e per le ambientazioni gotiche, è tornato sul grande schermo con il sequel di uno dei suoi più celebri classici: Beetlejuice Beetlejuice.
Uscito nel 1988, Beetlejuice – Spiritello porcello vedeva Michael Keaton nei panni del bio-esorcista che dà il nome alla pellicola e una giovanissima Winona Ryder nelle vesti di Lydia, la ragazzina stramba ed emarginata capace di vedere i fantasmi ed interagire con l’aldilà.
Nel sequel, uscito il 5 settembre (in seguito ad un divertente video promozionale pubblicato il 26 agosto), scritto dagli sceneggiatori di Smallville, Alfred Gough e Miles Millar, ritroviamo la coppia di attori tornare ai ruoli del primo lungometraggio.
E, con loro, ritroviamo anche l’estetica burtoniana delle origini in tutto il suo oscuro splendore, dopo anni in cui la particolare vena artistica del regista californiano sembrava aver perso la sua fiamma.
Bentornati a Winter River
Lydia Deetz, ormai adulta, presenta un talk show diretto dal suo attuale compagno Rory (Justin Theroux): l’outsider del primo film torna, trentasei anni dopo, a dimostrare al mondo come i vivi e i morti convivano, non sempre pacificamente, sulla terra, invitando a parlare in studio i proprietari di case infestate.
Ma, se le sue capacità paranormali hanno saputo regalarle notorietà in tv, Lydia non gode della stessa fortuna nel rapporto con la figlia adolescente Astrid, interpretata da Jenna Ortega (già apparsa nei panni di Mercoledì, nell’omonima serie Netflix prodotta dallo stesso Burton).
La ragazza, infatti, con i piedi ben piantati per terra e dallo spiccato senso pratico, non crede alle visioni della madre e, anzi, la critica aspramente per essersi svenduta, sfruttando le sue presunte doti sensitive, al capitalismo.
In occasione della morte del padre Charles (interpretato, nel primo film, da Jeffrey Jones, che non torna neanche nel mondo dei morti probabilmente per uno scandalo sessuale che lo coinvolse nel 2002 e che lo vede iscritto al registro nero dei sexual offender), la famiglia Deetz al completo (sullo schermo ritroviamo infatti anche la matrigna Delia, interpretata da Catherine O’Hara) si trova a dover tornare a Winter River per il funerale e ad interfacciarsi, di nuovo, col demone interpretato da Keaton e l’oltretomba.
Beetlejuice Beetlejuice: un sequel virtuoso o virtuosistico?
Se, come detto, Burton non aveva brillato con i suoi ultimi lavori, con Beetlejuice Beetlejuice tutta la dirompente estetica dark delle origini torna ad incantare i fan, giunti in sala mossi da nostalgia ed affetto per le opere del regista.
Ebbene, se quello che lo spettatore si aspetta approcciandosi al film è di ritrovare la particolarità degli effetti speciali rigorosamente in analogico, le atmosfere gotiche che hanno saputo conquistare un’intera generazione di appassionati e le colonne sonore del sempre impeccabile Danny Elfman, Beetlejuice Beetlejuice non lo deluderà.
Ma, purtroppo, il lungometraggio prodotto da Warner Bros e Plan B Entertainment appare – si voglia per la moltitudine di personaggi introdotti e mai caratterizzati in maniera esaustiva o per la trama tanto scontata sin dalle prime scene da perdere di consistenza – come un ritorno ai vecchi fasti del regista, alle prese con un esercizio di stile che sì, funziona visivamente, diverte, ma che non è in grado di convincere e di dare quel quid in più.
Nonostante un Willem Dafoe perfetto nell’interpretare un attore passato a miglior vita per la smania di voler girare ogni sua scena senza l’ausilio di controfigure, la meravigliosa scena in cui l’attuale compagna di Burton, l’italiana Monica Bellucci, appare sullo schermo a piccoli pezzi come una diva d’altri macabri tempi e la particolarità di un sequel che sa anche introdurre eventi avvenuti prima della narrazione originale, Beetlejuice Beetlejuice non regge, traendo le conclusioni, il confronto con il film del 1988 e non sa aggiungere nulla di nuovo ed innovativo all’onirico universo burtoniano.
Voto: 7-