Alcuni vecchi amici si ritrovano per festeggiare il prossimo matrimonio di uno dei componenti dello storico gruppo dei tempi dell’università. La premessa che sta alla base di It’s What’s Inside, film scritto e diretto da Greg Jardin, è soltanto il pretesto per un’originale narrazione thriller dal sapore fantascientifico che sa sorprendere lo spettatore presentando un’idea vincente che intriga, angoscia e fa riflettere.
Nonostante una produzione indipendente a basso budget, l’opera di Jardin, acquisita e distribuita da Netflix, si distingue per l’intelligenza con cui è stata messa in scena e per la coerenza di una trama semplice ma capace di nascondere tantissime insidie dal punto di vista della sceneggiatura.
It’s What’s Inside costringe il pubblico a immedesimarsi nei personaggi, portandolo a mettere in pausa la visione per mettere a fuoco quello che stia accadendo e a vivere la stessa straniante sensazione dei ragazzi al centro della vicenda.
Una festa, i vecchi amici e un nuovo gioco
Shelby e Cyrus sono invitati alla festa pre-matrimoniale di Reuben a cui prenderanno parte anche gli altri membri della loro vecchia comitiva d’amici: gli anni passati, però, non hanno cancellato alcune tensioni, in parte tenute segrete, tra i ragazzi.
Quando, inaspettatamente, alla reunion si presenta anche il controverso Forbes, munito di una valigetta contenente un macchinario da lui inventato, la serata comincia a prendere una piega del tutto particolare, bizzarra e inimmaginabile.
Il gioco che Forbes propone ai vecchi compagni è suggestivo, affascinante e terrorizzante: attraverso l’uso della macchina portata con sé è infatti possibile scambiare il proprio corpo con quello di qualcun altro, trasferendo la coscienza da un involucro all’altro: l’idea di scambiarsi i ruoli per provare a indovinare chi finirà nel corpo di chi darà il via a una concatenazione d’eventi dall’esito imprevedibile.
It’s What’s Inside nasconde la sua semplicità in uno schema complesso e intrigante
Greg Jardin si presenta al grande pubblico con un prodotto ambizioso e molto pericoloso: per la realizzazione pratica dell’idea che sta dietro It’s What’s Inside, certamente moderna e interessante, deve necessariamente essere messa in preventivo, infatti, la possibilità, se non la necessità, di confondere in maniera sistematica lo spettatore, con i concreti rischi relativi a un eccessivo disorientamento del pubblico o alla probabilità di cadere in sbavature dal punto di vista della coerenza narrativa.
Due elementi utili a favorire la riuscita del film e a evitare di cadere nelle trappole appena citate sono, in questo senso, la semplicità della trama di fondo e una realizzazione della messa in scena che diventa propedeutica allo script e che riesce allo stesso tempo a dare personalità all’opera.
Questa seconda caratteristica, in particolare, viene presentata in una soluzione metanarrativa introdotta anche all’interno del racconto e sfruttata per aiutare a districare i nodi di un intreccio labirintico che ha il grande merito di far nascere un senso d’angoscia simile a quello vissuto dai protagonisti.
La sceneggiatura basa gran parte della sua costruzione su questa confusione e sulle fondamentali interazioni tra i personaggi: se inizialmente i dialoghi, gli scambi di battute e i comportamenti rivelano poco sulla reale natura dei rapporti, il perverso meccanismo del gioco permetterà a tutti i nodi di arrivare al pettine, costringendo i ragazzi a scoprirsi e a mostrarsi sullo schermo per quello che sono e per quello che provano nel profondo.
E il gioco di Jardin con il suo pubblico sembra consistere proprio in questo: come in un giallo senza omicidi, in It’s What’s Inside la tensione si farà sempre più importante con lo svelarsi della vera natura dei vari rapporti e con l’abbandonarsi di ognuno ai più crudi e sinceri desideri che li pervadano.
La possibilità di mantenere segreta la propria identità e l’incredibile opportunità di entrare in un corpo diverso dal proprio, con tutto quello che consegue a questi due espedienti, sembrano la perfetta metafora di quello che ogni giorno accade sulla Rete del Web 2.0 e di come l’aspetto fisico, la cui importanza viene sempre più minimizzata da concetti la cui debolezza viene egregiamente manifestata, continui a rivestire un ruolo fondamentale nella vita di ognuno di noi, forse ancora di più in un contesto fatto di apparenza come quello attuale.
La regia del filmmaker, fatta anche di movimenti di camera quasi nauseabondi e propiziata da ambienti stretti e ricchi di colori, amplificano il senso di disagio che, ancora una volta, è vissuto sia dai personaggi che dallo spettatore, mentre il montaggio, il ritmo e la fotografia aiutano a loro volta nella creazione della cupa e sadica atmosfera che si nasconde dietro la facciata iniziale.
Buona la prova di tutto il cast, che riesce nel difficile compito di far cambiare tono e personalità ai propri personaggi, mettendo a nudo una schizofrenia di fondo che potrebbe appartenere a chiunque (anche dall’altra parte dello schermo), per quanto spesso malcelata.
Un film moderno, coraggioso e affascinante
It’s What’s Inside è un film dal forte senso di contemporaneità, che parla al presente nonostante il principio fantascientifico alla base del racconto e che prova ad interpretare senza remore i timori e le contraddizioni di un’intera generazione.
Come in una sorta di body horror degli anni ’20 del ventunesimo secolo, l’aspetto esteriore diventa veicolo del mostro mentre viene smascherata un’ipocrisia strisciante, ricordata nel titolo, che sembra strangolare la società al pari dei concetti che prova a tenere celati.
Un altro centro per Netflix, dunque, che dopo Vampires vs. the Bronx si è assicurata un’altra opera prima in grado di far parlare di sé e che, continuando sulla scia tracciata da lavori come La Babysitter continua a rivolgersi a un pubblico fatto di giovani e giovanissimi.
Quello di Greg Jardin è, infatti, un prodotto divertente, ricco di suspense, coraggioso e riuscitissimo, che ripresenta le stesse caratteristiche di altre opere simili che si sono viste negli ultimi tempi, come Bodies Bodies Bodies, coniugandole in modo personale e meno lineare senza depotenziarle.
Voto: 7