Le costruzioni delle atmosfere e dei personaggi di un’opera cinematografica passano necessariamente per la capacità della sceneggiatura di presentare dialoghi caratterizzanti, convincenti e dal forte impatto emotivo sullo spettatore.

I monologhi, in particolare, diventano in questo senso lo strumento ideale per sottolineare un preciso stato ideologico e trasportare lo spettatore in quello stesso mood, sfruttando l’energia espressiva di un discorso pubblico, di una narrazione in terza persona o di un flusso di coscienza personale.

Dopo aver condiviso una nostra lista di 11 grandi antieroi del cinema e della televisione e aver ricordato 9 magnifici personaggi femminili, torniamo a parlare dei protagonisti delle nostre storie preferite per presentare 9 monologhi cinematografici che sono restati nel cuore degli appassionati.

9 Monologhi cinematografici dall’incredibile forza espressiva


Blade Runner

Blade Runner, capolavoro fantascientifico di Ridley Scott tratto dal romanzo Gli Androidi Sognano Pecore Elettriche? di Philip K. Dick, ha segnato la storia del cinema contribuendo a dare i natali a un immaginario cyberpunk che ancora oggi, a oltre quarant’anni dal debutto della pellicola, continua a essere d’ispirazione per ogni autore che si avvicini al genere.

Uno dei momenti più forti dell’intero racconto è rappresentato dal monologo portato in scena da Rutger Hauer e, in parte, scritto dallo stesso attore per il suo Roy Batty: la profonda riflessione dell’androide, in punto di morte, è diventato quasi un manifesto del cinema moderno, conosciuto a memoria da intere generazioni di cinefili e citato nei contesti più disparati grazie alla sua incredibile potenza.

Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire

Monologhi cinematografici
Blade Runner

Ogni Maledetta Domenica

Ogni Maledetta Domenica è uno dei film sportivi più intensi ed emozionanti che l’industria cinematografica sia riuscita a proporre nei suoi diversi tentativi di rappresentare la passione per un gioco o le dinamiche di un contesto come quello di un gruppo di compagni di squadra.

Al centro della storia di Ogni Maledetta Domenica c’è la figura del capo allenatore di una squadra di football del campionato professionistico statunitense, alle prese con un momento particolare della propria vita e della propria carriera.

Le parole del discorso del coach (interpretato da Al Pacino) alla sua squadra prima di entrare in campo per affrontare una partita decisiva, continuano a risuonare negli spogliatoi di qualsiasi livello come uno straordinario mantra motivazionale.

Non so cosa dirvi davvero. Tre minuti alla nostra più difficile sfida professionale. Tutto si decide oggi: ora noi o risorgiamo come squadra, o cederemo, un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro, fino alla disfatta. Siamo all’inferno adesso, signori miei, credetemi… e possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi; oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell’inferno un centimetro alla volta.

Io però non posso farlo per voi, sono troppo vecchio. Mi guardo intorno vedo i vostri giovani volti e penso: ‘certo che ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare’. Si perchè io ho sperperato tutti i miei soldi, che ci crediate o no. Ho cacciato via tutti quelli che mi volevano bene. E da qualche anno mi da anche fastidio la faccia che vedo nello specchio.

Sapete col tempo, con l’età, tante cose ci vengono tolte, ma questo fa parte della vita. Però, tu lo impari solo quando quelle cose le cominci a perdere, e scopri che la vita è un gioco di centimetri. E così è il football, perché in entrambi questi giochi, la vita e il football, il margine d’errore è ridottissimo, capitelo: mezzo passo fatto in anticipo o in ritardo e voi non ce la fate, mezzo secondo troppo veloci o troppo lenti e mancate la presa. Ma i centimetri che ci servono sono dappertutto, sono intorno a noi, ce ne sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo.

In questa squadra si combatte per un centimetro; in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per un centimetro; ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire! 

E voglio dirvi una cosa: in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro; e io so che se potrò avere un esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro! La nostra vita è tutta lì, in questo consiste. In quei 10 centimetri davanti alla faccia!

Ma io non posso obbligarvi a lottare, dovete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi. Io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi, che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. 

Questo è essere una squadra signori miei.Perciò o noi risorgiamo, adesso, come collettivo o saremo annientati individualmente. È il football ragazzi, è tutto qui. Allora, che cosa volete fare?

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Ogni Maledetta Domenica

La 25ª Ora

La 25ª Ora è uno dei film più apprezzati e riusciti di Spike Lee, autore newyorkese impegnato da sempre a mettere su pellicola gli aspetti più controversi e peculiari della Grande Mela e delle tante contraddizioni che culla giorno dopo giorno.

Nel lungometraggio, Edward Norton interpreta Monty Brogan, uno spacciatore che sta per essere rinchiuso in galera e che si appresta a vivere le sue ultime ore di libertà, cercando di sistemare i conti in sospeso e riflettendo sul proprio passato e sul futuro che lo aspetta.

A racchiudere l’essenza del film è il monologo, profondo e rabbioso, pronunciato davanti a uno specchio dal protagonista in un flusso di coscienza che racconta, allo stesso tempo, la confusione di una New York post 11 settembre e la disperazione di un uomo che si sente messo all’angolo dalla vita.

Sì… vaffanculo anche tu. Affanculo io? Vacci tu! Tu e tutta questa merda di città e di chi ci abita. In culo ai mendicanti che mi chiedono soldi e che mi ridono alle spalle. In culo ai lavavetri che mi sporcano il vetro pulito della macchina. In culo ai Sikh e ai Pakistani, che vanno per le strade a palla con i loro taxi decrepiti… puzzano di curry da tutti i pori; mi mandano in paranoia le narici.  Aspiranti terroristi, e rallentate, cazzo!

 In culo ai ragazzi di Chelsea, con il torace depilato e i bicipiti pompati, che se lo succhiano a vicenda nei miei parchi e te lo sbattono in faccia sul Gay Channel. In culo ai bottegai Coreani, con le loro piramidi di frutta troppo cara, con i loro fiori avvolti nella plastica: sono qui da 10 anni e non sanno ancora mettere due parole insieme.

In culo ai Russi di Brighton Beach, mafiosi e violenti, seduti nei bar a sorseggiare il loro tè con una zolletta di zucchero tra i denti; rubano, imbrogliano e cospirano… tornatevene da dove cazzo siete venuti! 
In culo agli Ebrei Ortodossi, che vanno su e giù per la 47a nei loro soprabiti imbiancati di forfora a vendere diamanti del Sudafrica dell’apartheid.

In culo agli agenti di borsa di Wall Street, che pensano di essere i padroni dell’universo; quei figli di puttana si sentono come Michael Douglas/Gordon Gekko e pensano a nuovi modi per derubare la povera gente che lavora. Sbattete dentro quegli stronzi della Enron a marcire per tutta la vita… e Bush e Chaney non sapevano niente di quel casino?! Ma fatemi il cazzo di piacere! In culo alla Tyco, alla ImClone, all’Adelphia, alla WorldCom.

In culo ai portoricani: venti in una macchina, e fanno crescere le spese dell’assistenza sociale. E non fatemi parlare dei pipponi dei dominicani: al loro confronto i portoricani sono proprio dei fenomeni.
In culo agli italiani di Bensonhurst con i loro capelli impomatati, le loro tute di nylon, le loro medagliette di Sant’Antonio, che agitano la loro mazza da baseball firmata Jason Giambi, sperando in un’audizione per I Soprano.

In culo alle signore dell’Upper East Side, con i loro foulard di Hermesse e i loro carciofi di Balducci da 50 dollari: con le loro facce pompate di silicone e truccate, laccate e liftate. Non riuscite a ingannare nessuno, vecchie befane! 

In culo ai negri di Harlem. Non passano mai la palla, non vogliono giocare in difesa, fanno cinque passi per arrivare sotto canestro, poi si girano e danno la colpa al razzismo dei bianchi. La schiavitù è finita centotrentasette anni fa. E muovete le chiappe, è ora!

In culo ai poliziotti corrotti che impalano i poveri cristi e li crivellano con quarantuno proiettili, nascosti dietro il loro muro di omertà. Avete tradito la nostra fiducia!

In culo ai preti che mettono le mani nei pantaloni di bambini innocenti. In culo alla Chiesa che li protegge, non liberandoci dal male. E dato che ci siamo, ci metto anche Gesù Cristo. Se l’è cavata con poco. Un giorno sulla croce, un weekend all’inferno, e poi gli alleluia degli angeli per il resto dell’eternità. Provi a passare sette anni nel carcere di Otisville.

In culo a Osama Bin Laden, a Al Qaeda e a quei cavernicoli retrogradi dei fondamentalisti di tutto il mondo. In nome delle migliaia di innocenti assassinati, vi auguro di passare il resto dell’eternità con le vostre settantadue puttane ad arrostire a fuoco lento all’inferno. Stronzi cammellieri con l’asciugamano in testa, baciate le mie nobili palle irlandesi!

In culo a Jackob Elinsky, lamentoso e scontento. In culo a Francio Slaughtery, il mio migliore amico, che mi giudica con gli occhi incollati sulle chiappe della mia ragazza. In culo a Naturelle Riviera: le ho dato la mia fiducia e mi ha pugnalato alla schiena, mi ha venduto alla polizia… maledetta puttana!

In culo a mio padre, con il suo insanabile dolore: che beve acqua minerale dietro il banco del suo bar, vendendo whisky ai pompieri e inneggiando ai Bronx Bombers.

In culo a questa città e a chi ci abita. Dalle casette a schiera di Astoria agli attici di Park Avenue, dalle case popolari del Bronx ai loft di Soho, dai palazzoni di Alphabet City alle case di pietra di Park Slope e a quelle a due piani di Staten Island. Che un terremoto la faccia crollare. Che gli incendi la distruggano. Che bruci fino a diventare cenere, e che le acque si sollevino e sommergano questa fogna infestata dai topi.

No, no, in culo a te, Montgomery Brogan. Avevi tutto e l’hai buttato via, brutto testa di cazzo!

Monologhi cinematografici
La 25ª Ora

Trainspotting

Nel 1996, Danny Boyle traspone per il cinema il romanzo più importante e conosciuto di Irvine Welsh, portando sullo schermo il ritratto crudo e senza speranza della generazione travolta dalla piaga dell’eroina, considerata quasi come una vera e propria epidemia dell’epoca.

Il film racconta le vicende di un gruppo di amici incapaci di gestire la propria dipendenza e di trovare un senso alla vita al di fuori della sostanza che li imprigiona e, paradossalmente, li fa sentire liberi da convenzioni sociali e regole che non hanno mai saputo accettare.

Il film si apre con un monologo del protagonista, Mark Renton, che scappando dalla polizia illustra il suo punto di vista disilluso e cinico nei confronti di un sistema che non sente appartenergli e che disprezza nel profondo.

Scegliete la vita, scegliete un lavoro, scegliete una carriera, scegliete la famiglia, scegliete un maxitelevisore del cazzo, scegliete lavatrice, macchina, lettore cd e apriscatole elettrici.

Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete mutuo a interessi fissi, scegliete una prima casa, scegliete gli amici. 

Scegliete una moda casual e le valigie in tinta, scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo, scegliete il fai-da-te e il chiedetevi chi siete la domenica mattina. Scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz, mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare.

Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio, ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi. Scegliete il futuro, scegliete la vita.

Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita. Ho scelto qualcos’altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l’eroina?

Monologhi cinematografici
Trainspotting

Fight Club

Il Fight Club di David Fincher, tratto dal romanzo generazionale di Chuck Palahniuk, è stato, e continua a essere, uno dei film più divisivi degli ultimi trent’anni di cinema: ritratto nichilista di una società capitalistica ormai al collasso e apologia di una risposta violenta come arma di liberazione da una società che imprigiona anche senza catene.

Spesso accusato di promuovere ideali fascistoidi e punto di riferimento per le sottoculture di ogni tipo, fazione e credo, Fight Club è stato capace di scuotere coscienze e provocare, mettendo in primo piano il disagio vissuto da personaggi che rappresentano la faccia nascosta di una società contemporanea che appare completamente disgregata.

In un intenso momento del film, il Tyler Durden di Brad Pitt arringa i ragazzi presenti nel suo club clandestino in cui l’emancipazione prende la forma di combattimenti che, seguendo delle regole ben precise, sfaldano ogni convenzione accettata in superficie, lasciandosi andare a un monologo sulle potenzialità inespresse che vede in loro.

Mi guardo intorno e vedo un sacco di brutte facce nuove. Zitti. Perciò molti di voi hanno infranto le prime due regole del Fight Club.

Vedo nel Fight Club gli uomini più forti e intelligenti mai esistiti. Vedo tutto questo potenziale. E lo vedo sprecato. Porca puttana, un’intera generazione che pompa benzina, serve ai tavoli, o schiavi coi colletti bianchi.

La pubblicità ci fa inseguire le macchine e i vestiti, fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono. Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita.

Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinti che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock star. Ma non è così. E lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene!

Monologhi cinematografici
Fight Club

A Scanner Darkly – Un Oscuro Scrutare

Tratto dal romanzo omonimo di Philip K. Dick, A Scanner Darkly – Un Oscuro Scrutare racconta la storia di un poliziotto infiltrato in un giro di anfetamine e costretto a vivere una doppia vita, fingendosi parte di un gruppo di ragazzi consumatori di una nuova e terribile sostanza.

La faccenda si complicherà quando gli effetti della droga cominceranno a confondere la mente del protagonista, interpretato da Keanu Reeves, che sarà portato a mettere in dubbio ogni certezza in uno stato di schizofrenia dovuto tanto alla sostanza M quanto alla sua condizione di infiltrato.

In uno stile assolutamente azzeccato per l’atmosfera dell’opera, A Scanner Darkly ci porta in un mondo fantascientifico molto vicino al nostro e, attraverso un monologo dai toni cupi malinconici, ci ricorda quanto sia labile il confine con la follia, quanto i nostri sensi possano ingannarci e quanto possa far paura la tecnologia utilizzata come strumento di controllo.

Mi devo comportare come se loro non ci fossero, sempre che loro esistano davvero: potrebbero essere solo frutto della mia immaginazione. Qualunque cosa sia, quella che sta osservando non è umana. Non è come gli occhi scuri della piccola Donna, e non batte mai le ciglia.

Che cosa vede uno scanner? Vede dentro la testa, vede dentro il cuore, vede dentro di me, dentro di noi. Vede in modo chiaro o oscuro? Spero che veda in modo chiaro perché io non riesco più a vedere dentro di me. Io vedo solo tenebre.

Spero per il bene di tutti che gli scanner vedano meglio. Perché se lo scanner vede solo in modo oscuro così come me allora sono dannato, dannato per sempre. E in questo modo finiremo per morire tutti. Conoscendo poco o niente, e su quel poco che conosceremo ci saremmo anche sbagliati

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A Scanner Darkly - Un Oscuro Scrutare

L’Odio

L’Odio, scritto e diretto da Mathieu Kassovitz, racconta, con il suo indimenticabile bianco e nero, le tensioni vissute in una banlieue di Parigi a seguito di un pestaggio di un ragazzo della zona per mano della polizia.

Le problematiche sociali e razziali e la difficoltà dei protagonisti nel trovare una strada precisa per il proprio futuro vengono raccontate in un crescendo di tensione che porterà, inevitabilmente, a un punto di non ritorno che, in qualche modo, sembrava già segnato dall’inizio.

Non a caso, L’Odio si apre con un breve monologo che sintetizza l’intera narrazione preparando il pubblico a quello che vedrà ed esprimendo, senza troppi fronzoli, il senso di un racconto che non preveda alcun tipo di redenzione.

Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: “Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene.” Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio

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L'Odio

V per Vendetta

Tratto dalla graphic novel scritta da Alan Moore e illustrata da David Lloyd, V per Vendetta è ambientato in una Gran Bretagna distopica e governata da un governo dittatoriale che tiene sotto scacco i cittadini imponendo, tramite la menzogna e la violenza di stato, un regime iniquo e totalitario.

V è un rivoluzionario che nasconde il proprio viso dietro una maschera di Guy Fawkes, cospiratore che, agli inizi del diciassettesimo secolo, cercò di far saltare il parlamento inglese nel corso di un tentato atto terroristico ricordato dalla storia come la Congiura delle Polveri.

In una delle fasi iniziali, dopo aver salvato l’altra protagonista del film dall’assalto di due malintenzionati, V si presenta alla sua interlocutrice ostentando un linguaggio forbito e suggestivo e una passione politica figlia della consapevolezza, della rabbia e della conoscenza.

Ma in questa notte estremamente fausta, permettimi dunque in luogo del più consueto nomignolo di accennare al carattere di questa dramatis persona.

Voilà! Alla Vista un umile Veterano del Vaudeville, chiamato a fare le Veci sia della Vittima che del Violento dalle Vicissitudini del fato. Questo Viso non è Vacuo Vessillo di Vanità, ma semplice Vestigia della Vox populi, ora Vuota, ora Vana. 

Tuttavia questa Visita alla Vessazione passata acquista Vigore ed è Votata alla Vittoria sui Vampiri Virulenti che aprono al Vizio, garanti della Violazione Vessatrice e Vorace della Volontà.

L’unico Verdetto è Vendicarsi. Vendetta. E diventa un Voto non mai Vano poiché il suo Valore e la sua Veridicità Vendicheranno un giorno coloro che sono Vigili e Virtuosi.

In Verità questa Vichyssoise Verbale Vira Verso il Verboso, quindi permettimi di aggiungere che è un grande onore per me conoscerti e che puoi chiamarmi V

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V per Vendetta

Taxi Driver

Una New York in cui regna la perdizione, un Robert De Niro in stato di grazia e un racconto oscuro e incredibilmente moderno sono gli ingredienti di uno dei più straordinari lavori di Martin Scorsese che dirige, in Taxi Driver, uno script indimenticabile firmato da Paul Schrader.

La storia segue le vicende di un tassista della metropoli statunitense, che, lavorando di notte, si lascia turbare dalle perversioni e da tutto il marciume che la città, continuamente e senza alcuna pietà, continua a sbattergli addosso.

Segnato dagli anni passati in Vietnam, Travis Bickle crolla definitivamente e programma un attentato nei confronti del senatore e candidato alla presidenza Charles Palantine, considerato responsabile della corruzione che ammanta la società.

Preda di questa nuova frenesia, il protagonista si ritrova, in una scena improvvisata da De Niro e entrata di diritto nella storia del cinema, a preparasi, davanti allo specchio, al momento in cui potrà finalmente ribellarsi a un qualche sopruso presente soltanto nella sua testa.

 Ah sì certo, ah ah. Vaffanculo figlio di puttana, ti ho visto arrivare sai, pezzo di merda, avanti, avanti su, io non mi muovo, non mi muovo dai, prova a muoverti tu, e muoviti.

Non ci provare stronzo. Ma dici a me? Ma dici a me?vMa dici a me? Ehi, con chi stai parlando? Dici a me? Eh, Non ci sono che io qui. Di’, ma con chi credi di parlare tu? Ah sì, eh. Va bene…

Monologhi cinematografici
Taxi Driver