Frankenstein è il progetto cinematografico che ha impegnato in questi mesi Guillermo del Toro, il visionario regista messicano noto al pubblico per la sua spiccata propensione per il diverso e l’insolito e la sua innegabile passione, dentro e fuori dal set, per i mostri.
Se è vero che, stando a quanto affermato dal regista, il suo adattamento su pellicola della nascita della Creatura potrebbe essere distribuito non sono su Netflix, ma anche nelle sale, prima di poterci recare al cinema, per apprezzare l’estetica decadente a cui del Toro ci ha abituati, ci sembra doveroso parlare dell’opera letteraria da cui il film è stato tratto.
In particolare, se è noto a tutti che sia stata una donna e, con precisione, una giovane donna, Mary Shelley, figlia del filosofo William Godwin e della meno nota Mary Wollstonecraft, autrice della prima dichiarazione dei diritti della donna e, per questo, antesignana del femminismo, a dar vita al moderno Prometeo, non è forse altrettanto conosciuta la storia dietro alla stesura di quello che viene considerato il primo romanzo di fantascienza mai pubblicato.
La nascita di Frankenstein
L’idea di Frankestein iniziò a prendere forma nell’estate del 1816, quando la ventenne, in attesa del secondo figlio, si recò con il marito, il poeta Percy Bysshe Shelley, in Svizzera, per soggiornare presso la tenuta di Lord Byron.
Durante una delle innumerevoli serate passate a villa Diodati, di fronte al camino, per sfuggire ai violenti temporali che imperversavano nel paese, in compagnia del padrone di casa e del suo segretario, nonché medico personale, John William Polidori, la variegata compagnia decise di dar vita a una gara di letteratura.
Ognuno di loro avrebbe dovuto scrivere una storia di fantasmi, ma solo la giovane Shelley sarebbe riuscita a portare a termine il progetto iniziato quasi per gioco, stupendo amici, conoscenti e lettori: attingendo al mito di Prometeo, come dichiarato già dal sottotitolo della sua opera, e a quello del Dottor Faust e lasciandosi ispirare da Milton e il suo Paradiso perduto, dal precursore della teoria evoluzionistica, Erasmus Darwin, nonno del più celebre Charles, e dall’anarchismo filosofico del padre, Mary, con la pubblicazione della sua storia nel 1818, diede vita a Frankestein e alla fantascienza.
Dall’intuizione onirica di Mary Shelley alla carta stampata
Servendosi del genere gotico, in voga negli anni in cui iniziò la stesura del suo romanzo, come una sorta di scenario per le vicende del dottor Frankenstein e della sua Creatura, Mary Shelley regalò al mondo della letteratura e, in maniera più ampia, all’universo dell’arte, un’opera sbalorditiva, nonostante lo stile della donna fosse ancora incerto e immaturo.
Come ci racconta la stessa Mary nell’introduzione dedicata al romanzo nell’edizione del 1831, l’intuizione che la portò a dar vita al suo Frankenstein fu dovuta a un incubo notturno:
Io vidi – con gli occhi chiusi ma con un’acuta visione mentale -, io vidi il pallido studente di arti proibite inginocchiato di fronte alla cosa che aveva messo insieme. Vidi la forma orribile di un uomo disteso, e poi grazie all’opera di un qualche potente strumento, lo vidi dar segni di vita.
[…]
Era spaventoso, perché spaventoso in modo supremo sarebbe stato il risultato di ogni tentativo umano di parodiare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo.
È interessante notare come, anni dopo, saranno altri episodi onirici a ispirare Robert Louis Stevenson per Lo strano caso del Dr. Jekyl e Mr. Hyde e Bram Stoker per il suo Dracula, al quale il regista Robert Eggers è debitore per il riuscitissimo Nosferatu.
Frankenstein e il cinema
Nonostante sia stato chiaro a tutti, sin dalla sua pubblicazione, che il romanzo della Shelley fosse una gemma nel panorama letterario a lei contemporaneo e sarebbe rimasto a splendere, come tale, fino ai nostri giorni, la fortuna di Frankenstein è legata con un filo rosso al cinema, che ha attinto in innumerevoli occasioni alle pagine scritte dalla donna due secoli fa.
Le opere cinematografiche dedicate al dottor Victor Frankenstein e alla sua creazione sono innumerevoli: la storia della nascita della Creatura ha fatto il giro del mondo, ispirando registi e sceneggiatori in ogni parte del globo, passando dall’Italia al Giappone, per arrivare, nel 1974, al film di Mel Brooks, Frankenstein Junior, divenuto un indiscutibile cult, che, seppur trasponendo la vicenda in maniera parodistica, sa essere intelligente e arguto anche nelle sue parti più grottescamente comiche.
Tra i progetti più recenti, segnaliamo ai nostri lettori Frankenstein Unbound (1990) di Roger Corman, basato sull’omonimo romanzo di Brian Aldiss, che prende in prestito i personaggi ideati dalla Shelley, il Frankenstein di Kenneth Branagh, proiettato nelle sale nel 1994, con lo stesso regista ad interpretare il creatore e un impeccabile Robert De Niro nelle vesti della sua rediviva creazione, e per ultimo, ma non per riuscita, Povere creature! (2023) di Yorgos Lanthimos, in cui la vicenda di Bella (Emma Stone) e del dottor Godwin Baxter (William Dafoe) richiama senza mezzi termini l’idea partorita dalla Shelley nel suo romanzo.
Il dottor Frankenstein e l’orrorifica creazione del diverso: il progetto di del Toro
Il mostro partorito dalla brillante mente di Mary Shelley è stato, sin dalla sua nascita, l’emblema del diverso: in quanto turpe ed esteticamente decisamente non conforme, non può che essere un emarginato che susciti sgomento ed odio agli occhi di tutti, persino a quelli di Victor, per il suo essere incarnazione del brutto, ma anche dell’imprevedibile e dell’incontrollabile.
Un soggetto simile non poteva non far gola a del Toro, divenuto il regista che conosciamo proprio grazie a Frankenstein, l’horror che lo fece innamorare del genere sin da bambino: attingendo dalla nascita della Creatura, del Toro, con la sua filmografia a metà tra il favolistico e l’orrorifico, ha fatto della diversità e della sua accettazione un valore, anche sociale, e il simbolo della liberazione dall’imposizione e dal potere prestabilito.
Per questa ragione, ci aspettiamo grandi cose dal live-action del regista messicano che dovrebbe vedere la luce nel corso dell’anno corrente e che, come dichiarato dall’autore ai microfoni di Vanity Fair e citato per voi in un nostro articolo dedicato al progetto, porterà sullo schermo il fascino gotico della decadenza così come la Shelley aveva sognato e trasposto su carta stampata.