Blink Twice, thriller scritto e diretto da Zoë Kravitz e disponibile su Prime Video, racconta la terribile disavventura di Frida durante la sua vacanza degli orrori passata su un’isola deserta di proprietà di un magnate del settore tech.
Il racconto, improntato come uno slasher, si propone di affrontare, con un piglio abbastanza singolare, il tema della perpetrazione della violenza, mettendo un focus preciso sulla difficoltà di uscire da certe dinamiche da parte delle vittime, dei carnefici e di un sistema chiamato, per convinzione o per convenienza, a trattare l’argomento.
I sottotesti riscontrabili nell’opera dell’artista figlia di Lenny Kravitz e Lisa Bonet sono molteplici e ricchi di sfaccettature, in una narrazione decisa a sviscerare ogni tipo di equivoco o di responsabilità che continuano a inquinare la discussione e a rendere apparentemente irrisolvibile il problema.
Dopo aver condiviso la nostra recensione di Blink Twice, torniamo quindi a occuparci del primo film da regista della Kravitz per analizzare a fondo ogni riflessione che ci sia stata ispirata dal lavoro della filmmaker di Los Angeles.
La premessa e il ruolo del serpente
L’opera di Zoë Kravitz si fonda sulla scoperta di Slater King del potere di un determinato fiore che cresce sulla sua isola di cancellare i traumi dalla mente di chi venga a contatto con la sua essenza. Realizzato un profumo con questa peculiare pianta, quindi, lo dona alle sue ospiti per potere abusare di loro impunemente.
L’unico antidoto all’amnesia selettiva fornita dalla pianta è rappresentato dal veleno di un serpente del luogo, che proprio per questo, viene cacciato senza pietà dai sottoposti dell’uomo d’affari, deciso a mantenere i propri privilegi.
Se il profumo può rappresentare, insieme ai privilegi e all’agio che viene concesso alle vittime sull’isola, la forza di persuasione e di allontanamento dalla realtà che il potere riesce a esprimere per la conservazione dello status quo, il trattamento riservato ai serpenti ricorda il modo in cui un pensiero emergente, progressista e pericoloso per l’ordine prestabilito venga osteggiato e combattuto utilizzando qualsiasi tipo di mezzo.
Blink Twice e la difficoltà nel percepire i segnali
Subito dopo l’incontro tra Frida e Slater King, la donna ha modo di conoscere il terapeuta del magnate a cui, scherzando, chiede di battere due volte gli occhi nel caso in cui ritenesse che lei potesse essere in pericolo in compagnia del milionario.
Il personaggio interpretato da Christian Slater, sorridendo, sbatte le palpebre due volte, suggerendo agli spettatori e all’inconsapevole ragazza, il fatto che la situazione potrebbe effettivamente prendere una brutta piega.
Naturalmente Frida prende la cosa soltanto come uno scherzo, non dando importanza al gesto dello psicologo e lasciandosi guidare dall’entusiasmo di poter avere a che fare con una persona tanto in vista e tanto affascinante come l’imprenditore.
A posteriori, però, si potrebbe leggere la scena come l’incapacità, da parte di una vittima, di percepire persino le più chiare red flag, costituite in questo caso anche dai precedenti scandali che avevano investito Slater, divenendo consapevoli di qualcosa di assolutamente palese solo quando sia ormai troppo tardi.
La competizione tra deboli e la colpevolizzazione delle vittime
Arrivate sull’isola, Frida e Jess si ritrovano a conoscere gli altri invitati di Slater King, interagendo in un modo o nell’altro con le donne e con gli uomini presenti.
In questo senso, l’unico personaggio che risulti ostile alla protagonista sembrerebbe essere Sarah, ragazza abituata a essere al centro dell’attenzione e che si mostra invidiosa del rapporto di complicità che si è instaurato tra Slater e Frida.
In questa prima parte di film, le due ospiti risultano in competizione per ottenere le simpatie dell’uomo, all’apparenza più per una fascinazione dovuta al contesto e alla posizione sociale del guru che per un interesse nei confronti di qualcuno che si conosca a malapena.
Agli occhi dell’opinione pubblica, o dello spettatore, questo tipo di situazione potrebbe far quasi pensare che a essere subdole e disoneste siano le due future vittime, in realtà soltanto attratte dal brilluccichio di un mondo patinato e perfetto e incapaci di restare fedeli a loro stesse in un momento di debolezza e di entusiasmo costruito sul niente.
Le due saranno quindi portate ad assecondare la personalità di Slater King, nella dinamica tipica di qualsiasi rapporto subordinato in cui, piuttosto che essere solidali contro il potere, si finisca a combattere per ottenere un piccolo posto al sole, a prescindere da quale possa essere il prezzo da pagare.
In seguito, in una presa di coscienza tardiva, Sarah arriverà ad affermare come siano state delle stupide ad accettare l’invito di quegli sconosciuti, colpevolizzandosi per l’ingenuità e attivando un meccanismo che spesso conduce alla minimizzazione del ruolo del carnefice.
La solidarietà tra pari e la capacità di ascoltare i consigli dell’esterno
All’inizio del film, prima di partire per l’isola, Frida avverte Jess di stare lontana da un ex fidanzato che non cambierà mai, ottenendo una chiusura da parte dell’amica, troppo coinvolta e incapace di comprendere le parole della protagonista.
Allo stesso modo, dopo essere stata morsa dal serpente, Jess cercherà di mettere in guardia il personaggio interpretato da Naomi Ackie, che, in risposta, si risentirà, facendo notare come quello sia il suo momento, arrivando persino a mettere in discussione la sincerità della preoccupazione della compagna.
La difficoltà nel discernere persino il vero dal falso nel momento in cui ci si senta coinvolti emotivamente è scandagliata da questi due momenti fugaci che quasi sfuggono al pubblico quanto alle protagoniste, in una perversione mentale classica soprattutto delle relazioni interpersonali e da sempre cruccio delle persone vicine alle vittime di violenza, fisica o psicologica, soprattutto in ambito amoroso.
Al contrario, quando l’idillio sembra finalmente rompersi, il ruolo della solidarietà tra pari risulta fondamentale per poter rivaleggiare contro un potere che soverchia il singolo ma che si ritrova improvvisamente in difficoltà nel momento in cui una comunità prenda consapevolezza del proprio ruolo e della propria forza.
Il ruolo del branco e la figura dell’ignavo
Se le ragazze sull’isola non si conoscono tra loro, risultando di fatto sole di fronte agli eventi, gli uomini dell’entourage di Slater King costituiscono un vero e proprio branco, composto da persone complici e sempre pronte a spalleggiarsi nella perpetrazione dell’inganno e della violenza.
Questa situazione mette i personaggi in questione in una condizione di forza anche numerica, svilendo, allo stesso tempo, le responsabilità personali dei soggetti, che si sentono sostenuti nelle proprie azioni e che sembrano faticare a riconoscere la viltà e l’atrocità dei propri atti convincendosi del fatto che siano normali e accettabili.
Diversa la posizione di Lucas, unico uomo che non prende parte alle violenze di gruppo e i cui ricordi vengono alterati dal profumo ma che porta con sé la colpa di non opporsi davvero agli atti del branco, incapace di trovare la forza e il coraggio per fare ciò che avrebbe dovuto, permettendo che l’ingiustizia continui senza alcun freno.
L’oblio come liberazione, il trauma irrisolto e la prosecuzione del comportamento tossico
L’idea del dimenticare come liberazione da ogni male, viene declinata tanto dal punto di vista della vittima quanto da quella del carnefice: se da una parte, infatti, chi venga oppresso può trovare una sorta di pace, seppure fittizia, privandosi dei ricordi e dei traumi, per quanto riguardi il persecutore, questo stato delle cose significa la possibilità di continuare a mettere in atto i propri comportamenti senza mai doverne rispondere.
La provocazione, da parte della Kravitz, risiede nella richiesta di non abbandonarsi alla scelta più semplice, come fatto dalla segretaria Stacy, inconsapevole e a suo modo felice, libera da ogni sofferenza ma scollegata dalla realtà dei fatti ed evidentemente incapace di essere davvero serena.
In questo contesto possiamo ritrovare una chiave di lettura più generale, che si rifaccia alla necessità di mantenere una memoria storica che permetta di evitare il ripetersi di momenti bui, anche a costo di vivere costantemente un dolore irrisolvibile.
Allo stesso modo, l’accettazione del trauma risulta fondamentale per una razionalizzazione dello stesso che aiuti il perseguitato a non divenire a sua volta parte del problema e a non sfogare la propria rabbia repressa alimentando un circolo vizioso difficile da spezzare.
L’ipocrisia delle richieste di perdono
Altro tema portante del racconto di Blink Twice è costituito dal polarizzante dibattito sulla veridicità e la concretezza del pentimento e sull’evenienza di tornare a fidarsi in modo incondizionato: come esplicitato da Slater nella parte conclusiva del film, chiedere perdono è certamente più facile e meno dispendioso che accettare una violenza o prendere davvero consapevolezza dei propri atteggiamenti.
Nel caso del magnate, il suo scusarsi, ripetutamente e quasi in maniera meccanica, nonostante non cerchi minimamente di modificare il proprio modo di fare, ricorda sinistramente l’atteggiamento di un violento che, nonostante l’apparente pentimento, continui a ripetere i propri errori, spesso marcandoli sempre di più, così come quelle manifestazioni di memoria di eventi tragici e di condizioni di oppressione ormai superate e considerate inaccettabili ma mai del tutto risolte veramente e pronte a sconvolgere di nuovo la società, nutrite da uno strisciante senso di superiorità che continua ad ardere sottotraccia come un pericoloso tizzone mai spento.
La spiegazione del finale
Nel finale di Blink Twice Frida scopre il modo di utilizzare l’arma di Slater contro il suo stesso creatore, rendendolo praticamente un suo schiavo inconsapevole di qualsiasi sopruso e prendendosi la sua vendetta divenendo sua moglie e amministratrice di tutti i suoi beni. Un’inversione dei ruoli che ancora una volta rimanda in maniera durale sia all’idea del trauma irrisolto e sfogato nel peggiore dei modi che alla necessità da parte della vittima di soverchiare l’ordine prestabilito in tutti i modi possibili, terrorizzando, come dimostrato dalla reazione dello psicologo, chi ancora si senta sicuro della propria supremazia.
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