Freedom Writers o del sapere che rende liberi

Freedom Writers, scritto e diretto da Richard LaGravenese, è un film del 2007 che vede Hilary Swank vestire i panni di Erin Gruwell, un’insegnante assegnata a una non facile classe del primo anno della Woodrow Wilson Classical High School di Long Beach.

Recentemente aggiunto al catalogo Netflix, il lungometraggio si ispira alla storia vera dei Freedom Writers, i ragazzi accompagnati nel percorso di crescita scolastica e riscatto personale dalla giovane docente, ed è ambientato nella Città degli Angeli degli anni ‘90, già scossa dalla celebre Rivolta di Los Angeles e pervasa da un clima di forte e preoccupante tensione razziale.

Una pellicola drammatica arricchita da una colonna sonora perfettamente aderente al background storico-culturale della California di quegli anni: nonostante ciò, il film prodotto dalla Paramount Pictures non è scampato a critiche per il modo in cui viene rappresentata l’intera vicenda.

Freedom Writers: Erin Gruwell, il sistema scolastico e la classe 203

Freedom Writers
Hilary Swank
LaGravenese

Nel 1994 Erin Gruwell, fresca di studi universitari, decide di seguire la sua vocazione contro i pareri dei suoi cari e di intraprendere la carriera di docente d’inglese in un liceo scosso da problematiche di odio razziale, violenza e scontri tra bande fin nei corridoi dell’istituto.

La donna, nonostante l’ostilità e i pregiudizi dei colleghi e i veti imposti da un sistema scolastico mirante, con lacune e difficoltà, alla riabilitazione sociale di adolescenti problematici e a rischio, riesce a conquistare la fiducia della sua classe e a capire con lungimiranza che il dramma quotidiano più pervasivo vissuto dai suoi ragazzi fosse la mancanza di basi culturali.

Per questa ragione, la professoressa decide di studiare per la classe 203 un programma scolastico non convenzionale, scontrandosi con la gerarchia e il potere del sistema con coraggio e determinazione, al fine di educare i suoi alunni ai valori della tolleranza e del rispetto per ogni diversità.

Così gli alunni della Gruwell, ognuno con una propria identità e un vissuto disseminato di difficoltà di ogni sorta, impossibilitati per volere dell’organizzazione scolastica ad accedere ai libri destinati agli studenti di serie a, si ritroveranno a intraprendere un percorso atipico, complicato e suggestivo, cercando di conseguire sia la maturità accademica che quella personale.

Freedom Writers: Hilary Swank spicca in una pellicola che non brilla per originalità

Freedom Writers
Hilary Swank
LaGravenese

Il lungometraggio uscito nelle sale cinematografiche statunitensi del 2007 è un film drammatico, carico di pathos e capace di colpire dritto allo stomaco dello spettatore che si approccia alla storia degli studenti di Long Beach.

Il pubblico, entrando nell’aula 203 e ascoltando, attraverso le parole scritte dai ragazzi nei quaderni acquistati per loro dalla professoressa Gruwell, le vicissitudini contro cui devono combattere quotidianamente per restare non solo in piedi, ma anche e crudamente in vita, non può non entrare in connessione empatica con gli alunni.

Nonostante questa doverosa premessa, tenendo sempre a mente che l’opera audiovisiva di LaGravenese ha portato sullo schermo fatti e storie reali, che Erin Gruwell ha davvero creato il suo metodo e che i ragazzi della classe 203 hanno vissuto i drammi inscenati sul set, non possiamo esimerci dal valutare la pellicola per quello che è: un prodotto cinematografico che non può considerarsi riuscito solo per la carica emotiva che porta con sé.

In questo senso, il film che vede protagonista la Swank, sulla cui figura torneremo in seguito, non può dirsi innovativo e spiazzante: l’intreccio e il suo svolgersi sono chiari fin dai primi minuti, non vi sono plot twist inattesi e la pellicola procede in questo modo fino al suo epilogo.

Hilary Swank, unica stella a brillare in un cast composto da ragazzi sconosciuti all’industria cinematografica e a volti decisamente meno noti a Hollywood, sa essere convincente nel ruolo assegnatole e tiene su un film che non riesce a emergere in un decennio, quello dei primi anni 2000, in cui grandi e visionarie pellicole avevano la meglio su una miriade di produzioni meno impegnate.

Sia chiaro, se l’intento del regista fosse quello di arrivare al cuore dello spettatore e di portarlo a riflettere, accendendo i riflettori sull’ingiustizia sociale e sullo spinoso e tristemente sempre attuale tema del razzismo, il lavoro è stato portato a termine egregiamente.

Ma se è vero che siamo qui a parlare di Settima Arte, Freedom Writers non brilla per originalità e ricercatezza stilistica, i tempi narrativi sono mal calibrati e le storie personali dei ragazzi troppo poco approfondite in favore di una Gruwell/Swank resa vera protagonista della vicenda fin dai poster promozionali che vedono il volto dell’attrice ergersi al di sopra delle figure che sarebbero dovute essere, invece, centrali.

Seppur la scelta di inserire passi dei diari degli adolescenti declamati sopra scene delle loro vite quotidiane sia ben riuscita, la stessa, occupa, a nostro avviso, poco posto nello svolgimento della pellicola, che mira, come già detto, a dar più spazio e luce alle vicissitudini che vedono l’insegnante protagonista, sia tra i banchi che in casa propria.

Erin Gruwell: la white savior dei Freedom Writers?

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Hilary Swank
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In questo modo, la figura della Gruwell sembra essere mostrata come l’unica via di salvezza per gli adolescenti che si trova a gestire in classe: critica che, oltre a essere stata mossa al personaggio portato sullo schermo nel film, ha investito anche l’insegnante di Glendora, promotrice di un metodo d’insegnamento realisticamente molto poco riproducibile.

Erin è una donna bianca che entra in una classe multirazziale convinta di avere una missione da portare a termine: salvare quei ragazzi con il solo potere dell’educazione e della cultura, elevandoli dalla situazione di disagio quotidiano e dalle deplorevoli condizioni di vita del ghetto.

Ma, infine, è davvero così? Nel film la prospettiva iniziale sembra essere proprio questa. Con lo scorrere delle sequenze narrative, però, la Gruwell, unico personaggio positivo in un mondo, quello del liceo in cui insegna, che viene mostrato come composto da villain intenzionati a metterle i bastoni tra le ruote, si rende conto che gli adolescenti che ha di fronte hanno del potenziale e che possono farlo fiorire anche senza il suo intervento diretto.

Per questa ragione, questa pellicola, che è decisamente un film motivazionale, riesce a mostrare, pur con dei difetti, l’insegnante sotto una luce positiva, nonostante potesse inizialmente apparire come un altro racconto in cui l’intervento dell’uomo bianco è l’unica forma di redenzione possibile.

Freedom Writers merita di essere guardato?

Freedom Writers
Hilary Swank
LaGravenese

Per concludere questa nostra disamina, pur tenendo a mente i difetti di sceneggiatura, nonostante si potesse dedicare più spazio agli studenti e al loro vissuto, Freedom Writers è un film a cui consigliamo di dare un’opportunità: in una società in cui la paura suscitata dal diverso continua a insinuarsi nelle nostre decisioni quotidiane, in maniera più o meno esplicita, conoscere la storia di integrazione e riscatto della classe 203 può servire e a molti.

Emblematica e potente, a parer nostro e su tutte, è la scena in cui una studentessa nera viene invitata a esporre in classe (non la 203, si intende) il suo parere sul romanzo di Alice Walker, Il Colore Viola: la ragazza rimane indispettita di fronte alla richiesta del docente di farsi portavoce del pensiero afrodiscendente sul libro, come se avere in comune con altre decine di migliaia di persone il colore della pelle implichi condividerne il giudizio e le idee.

Concetto che, seppur susciti ilarità nella sua rappresentazione cinematografica nell’opera di LaGravenese, è sfortunatamente ancora troppo radicato nella cultura dominante e su diversi fronti: ogni volta che per il colore della propria pelle, per il proprio genere o orientamento sessuale, per il proprio credo religioso, un individuo viene privato della sua personalità specifica in favore di un’identità collettiva imposta dall’esterno, il mondo diviene un posto peggiore, un luogo in cui il racchiudere gli esseri umani in gruppi, appiattendone l’Io, si mostra come la vile via per averne il controllo.

Voto: 7-

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