The Electric State: un film divertente ma con poca personalità

The Electric State è l’ennesima dimostrazione di come l’industria cinematografica, negli ultimi anni, abbia subito un cambiamento che, tra alti e bassi, sembra ormai essere diventato irreversibile, con tutte le conseguenze del caso.

In effetti, il fatto che una produzione dal budget di oltre 300 milioni di dollari, con protagonisti star di livello internazionale e diretto dai due registi di Infinity War e End Game potesse essere distribuito direttamente in streaming, sarebbe stato, soltanto qualche anno fa, qualcosa di semplicemente impensabile.

E probabilmente, al di là dei pregi e dei difetti di un’opera riuscita soltanto a metà, parte della discussione sul film con Millie Bobby Brown e Chris Pratt deve necessariamente partire proprio da considerazioni sull’incredibile sforzo economico profuso per portare sullo schermo l’avventura adattata dalla graphic novel di Simon Stålenhag e sulla sostenibilità di una pubblicazione che decida di saltare a piè pari il percorso nelle sale.

Dopo aver proposto la recensione e la nostra spiegazione di Delicious, altro lungometraggio che ha debuttato nel marzo 2025 su Netflix, andiamo dunque a condividere il nostro pensiero sulla commedia fantascientifica retrofuturistica sceneggiata da Christopher Markus e Stephen McFeely.

The Electric State
The Electric State recensione
Netflix
Simon Stålenhag
Fratelli Russo

La trama di The Electric State

In seguito a una ribellione sindacale dei robot, gli anni ’90 di un ventesimo secolo alternativo vengono sconvolti da una terribile guerra tra gli umani e le macchine che viene risolta in favore dei primi grazie all’intervento di un magnate dell’alta tecnologia e alla sua nuova invenzione capace di ribaltare le sorti dello scontro.

Pochi anni dopo, con i robot esiliati in un’enorme prigione a cielo aperto, la civiltà cerca di ripartire sfruttando quella stessa idea, nata in ambito militare e divenuta presto una nuova frontiera capace di permeare l’intera società.

In questo contesto, una giovane ragazza riceverà la visita di un robot che si presenterà a lei come un’estensione del corpo di suo fratello, creduto morto e tenuto imprigionato da qualche parte in attesa di soccorso.

Aiutati da un piccolo trafficante e dal suo inseparabile compagno metallico, Michelle e Cosmo saranno chiamati a un pericoloso viaggio che metterà in discussione ogni verità sul nuovo mondo che sta nascendo dopo la vittoria contro i robot.

The Electric State
The Electric State recensione
Netflix
Simon Stålenhag
Fratelli Russo

Un’avventura per tutta la famiglia che non dovrebbe voler essere nient’altro

The Electric State è un’opera che strizza l’occhio alle narrazioni cinematografiche destinate ai ragazzi degli ultimi vent’anni del secolo scorso, cercando di portare il tono del racconto in un ambito più moderno sia dal punto di vista stilistico che per quanto riguardi il messaggio di fondo.

Questa sua ambivalenza e l’ambizione, non rispettata, di volersi dimostrare profondo, non consentono al lungometraggio dei fratelli Russo di risultare incisivo e definito nella sua presentazione di una storia che sarebbe stata godibile anche senza gli spiegoni filosofici che ne appesantiscono inutilmente il prologo e il finale.

Perché il film presentato dalla piattaforma di streaming dalla N rossa riesce a intrattenere presentando personaggi, in carne e ossa e in metallo, che, per quanto poco sviluppati, sarebbero in un certo modo in grado di affascinare il pubblico più giovane riuscendo anche a strappare qualche risata agli spettatori più attempati e smaliziati.

La mancanza di una scelta precisa nel tipo di prodotto che vuole essere, però, mette in evidenza tutti i limiti di un lavoro che, pur cercando di richiamare i classici diretti o prodotti da Steven Spielberg, non può reggere il confronto e non riesce a essere stimolante per il pubblico più adulto di cui sopra.

La morale della storia sembra, a dirla tutta, artificiosa e appiccicata a forza nel tentativo di attribuire ricchezza alla trama, rischiando però di rendere il tutto soltanto un po’ confuso e almeno in parte decontestualizzato rispetto a quanto presentato sullo schermo.

Come per i personaggi, i temi presentati sono poco approfonditi, risultando soltanto accennati, poco efficaci e sostanzialmente fuori luogo rispetto a una scoperta del viaggio che, probabilmente, sarebbe dovuta rimanere al centro dell’intera esperienza.

Una decisione più precisa rispetto al target di riferimento, un indirizzamento più sicuro in quella direzione e uno script più attento a non costruire presupposti furbi e inverosimili, avrebbero senza dubbio giovato a The Electric State, che, così come ci è stato presentato, somiglia troppo a un’operazione commerciale gestita in maniera approssimativa.

The Electric State
The Electric State recensione
Netflix
Simon Stålenhag
Fratelli Russo

I fratelli Russo fanno i fratelli Russo, Chris Pratt fa Chris Pratt

Che Anthhony e Joe Russo non siano Steven Spielberg risulta abbastanza evidente nonostante le numerose citazioni e il tentativo di imitare, almeno in alcuni momenti del film, lo stile autoriale del filmmaker di Cincinnati.

Sia chiaro, il lavoro del duo non è del tutto da buttare: la loro capacità di ricreare battaglie corali dal tono epico viene riproposto, in scala ridotta rispetto a quanto visto nei due Avengers, in modo efficace e visivamente ben riuscito per quanto, ancora una volta, un po’ fuori luogo rispetto a tutto il resto.

Il progetto avrebbe probabilmente giovato di una scelta differente riguardo la regia e la presentazione artistica in modo da far emergere maggiormente quello che sarebbe potuto e dovuto essere il grande punto forte di The Electric State.

Il peccato originale della produzione Netflix sta infatti nel non aver valorizzato l’affascinante mondo creato da Simon Stålenhag e costituito da robot dall’aspetto improbabile e da un’ambientazione originale e intrigante che sembra quasi essere lasciata ai margini del prodotto.

Per quanto riguarda gli altri aspetti tecnici, una fotografia d’impatto e di alto livello si lascia accompagnare da una colonna sonora che prova a fare il verso alla trilogia di Guardiani della Galassia conferendo comunque una precisa personalità alla narrazione e scandendo un ritmo ben sostenuto che sa alternare momenti concitati ad altri più riflessivi e votati alla costruzione.

Pro e contro anche per quanto concerne il lavoro fatto dal cast: se Chris Pratt riesce a dimostrarsi, con il suo antieroe, una nota positiva, meno entusiasmante ci è sembrata la prova fornita da Millie Bobby Brown (che ha da poco rivelato il suo vero nome), poco efficace in un ruolo che dovrebbe esserle congeniale viste le somiglianze con quello storico di Stranger Things.

The Electric State
The Electric State recensione
Netflix
Simon Stålenhag
Fratelli Russo

The Electric State è una commedia fantascientifica con complessi d’inferiorità

In sostanza, quello presentato da Netflix è un buon film incorniciato in diverse scelte di produzione sbagliate: la direzione poco chiara per quanto riguardi lo stile e il carattere della narrazione rendono l’opera dei Russo uno strano ibrido che non riesce a entusiasmare appieno sotto nessun punto di vista.

L’enorme sforzo economico e la decisione di distribuire il lungometraggio direttamente in streaming gravano ulteriormente sulle sorti di un progetto che, se meglio indirizzato, avrebbe potuto far parlare di sé in maniera diversa.

Nonostante alcune forzature nella sceneggiatura e lo scarso focus sulle peculiarità dell’universo presentato, infatti, The Electric State rimane un buon film per ragazzi, emozionante e coinvolgente al punto giusto e capace di scorrere sullo schermo senza troppi intoppi.

Senza pretendere di essere di fronte a un capolavoro, e con tutte le riserve citate, ci sentiamo dunque di promuovere il prodotto bocciando però l’operazione e sperando che l’azienda californiana sappia imparare dai propri errori, consapevoli di come il futuro dell’industria passerà, sempre di più, anche dalle sue mani.

Voto: 6.5/10

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