Running Point: recensione della serie tv con Kate Hudson

Arrivata sulla piattaforma di streaming dalla N rossa il 27 febbraio, Running Point, la serie tv dalla comicità irriverente incentrata sulle vicende che vedono coinvolta l’imprenditrice Isla Gordon (Kate Hudson) e la sua facoltosa (e disfunzionale) famiglia, proprietaria della squadra di basket di Los Angeles, continua a stazionare nella Top 10 degli show Netflix.

Parliamoci chiaro fin da subito: non stiamo parlando di un prodotto minimamente paragonabile ad Adolescence, di cui abbiamo recentemente discusso in queste pagine, né di una serie tv che faccia dello sport il suo punto cardine.

Running Point, ideata da Elaine Ko, Mindy Kaling, Ike Barinholtz e David Stassen, va presa per quello che è: una serie tv leggera, la cui prima stagione è composta da dieci episodi dalla durata di trenta minuti ciascuno, che sa intrattenere il pubblico con le sue battute insolenti, le sue situazioni tragicomiche e qualche cliché sul mondo dell’alta imprenditoria e dello sport che non guasta in una storia che si focalizza sulla rivincita al femminile.

Running Point
Netflix
Kate Hudson

La trama di Running Point

Isla Gordon, una festaiola pentita che lavora come direttrice del reparto beneficenza nell’azienda di famiglia, proprietaria della fittizia squadra di basket di Los Angeles, gli Waves, si ritrova a prendere il controllo della società quando il presidente, suo fratello Cam, è costretto a intraprendere un percorso di rehab.

La donna, nonostante lo stupore e le difficoltà iniziali, riuscirà a far proprio il ruolo di presidentessa, facendosi strada in un mondo principalmente maschile, dimostrando di avere tutte le carte in regola per conquistare la fiducia e il rispetto del suo team, dentro e fuori dal campo.

A condire la vicenda, raccontata per la maggior parte in prima persona dalla protagonista, vengono inserite le storie personali dei personaggi principali, in un mix comico e strappalacrime che rende la serie godibile da un pubblico vasto e variegato.

Running Point
Netflix
Kate Hudson

Running Point: una storia di rivincita?

Come già anticipato, questa serie tv targata Netflix non può considerarsi per sceneggiatura e regia, per arguzia e profondità dei temi trattati, un prodotto destinato a rimanere nella storia degli show televisivi.

C’è da dire, però, che Kate Hudson, candidata agli Oscar come miglior attrice non protagonista nel 2001 per Quasi Famosi, film diretto da Cameron Crowe di Vanilla Sky, veste i panni della figlia femmina della famiglia Gordon alla perfezione: trattata fin da bambina come la principessa di casa, la quale non merita ascolto e attenzione per le sue idee ma solo ammirazione per la sua perfezione estetica, da adulta riesce a farsi strada nell’azienda fallocentrica della sua famiglia, sapendo dirigere e risollevare dal baratro cui sembrava destinata, seppur con qualche inciampo, la squadra di Los Angeles.

Seppur tratti il tema femminista con sommarietà, senza saper essere mai incisiva e limitandosi alla superficie del problema, la prima stagione di Running Point, che è stata rinnovata per un secondo capitolo a marzo, riesce a dare allo spettatore, nei limiti del suo essere una simil soap opera, uno spaccato semplice e diretto del mondo dello sport professionistico e del business che gli ruota intorno.

Senza usare mai mezzi termini, Running Point ci fa entrare in casa di una famiglia bene americana, tra scandali sessuali, figli illegittimi, dipendenze dalle più disparate droghe, rapporti con i media e la stampa e passi falsi tanto nelle relazioni personali quanto in quelle col mondo esterno.

La rivincita, in questo senso, più che di Isla, sembra essere quella della famiglia Gordon in toto, che sa spogliarsi dell’altezzosità dei milioni di dollari che ne adornano la vita per mostrarsi sì risoluta e decisa, ma anche fragile e umana quando necessario.

Se è vero, poi, che la pallacanestro faccia solo da sfondo a un intricato racconto familiare, non mancano, in Running Point, momenti in cui lo spogliatoio e il campo siano protagonisti della scena.

Tra gli attori che interpretano i giocatori di una squadra di Los Angeles non in viola come ci si aspetterebbe, però, solamente Badrag Knauss, interpretato dall’ex cestista statunitense Dane DiLiegro, e il rookie Dyson Gibbs, alias Uche Agada, già apparso in un ruolo simile in Rise – La vera storia di Antetokounmpo nel 2022, risultano credibili in uniforme.

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Una regia da soap opera che fa leva su interpretazioni attoriali di livello

La serie tv Netflix, ispirata alla storia dei L.A. Lakers e della sua presidentessa, Jeanie Buss, non pretende, visto quanto detto in precedenza, di essere un prodotto televisivo memorabile e neanche di portare alla luce una storia concentrata sul campo da gioco.

Gli stacchi della camera, che passano da inquadrature ampie sulla città agli uffici della società dei Gordon, dagli appartamenti lussuosi dei protagonisti al palazzetto dello sport, ricordano quelli di una soap opera a puntate degli anni ‘90, nonostante l’interpretazione della Hudson e la personalità del suo personaggio riescano a dare una verve briosa e moderna al girato.

Inoltre, i molteplici riferimenti velati a scandali più o meno grandi che hanno investito la Lega NBA, che riguardano principalmente l’utilizzo dei social media e di presunti account fake, condiscono lo show con quel pepe che la rende frizzante e godibile.

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Vi consigliamo Running Point?

In conclusione, qualora stiate cercando una serie tv spiritosa e breve che parli di una boss donna, capace di risollevarsi e dimostrare agli uomini della sua vita di avere il carattere giusto per prendere il controllo della società, avete trovato lo show che fa al caso vostro.

Al contrario, se siete in cerca di qualcosa di più serio e impegnato, che faccia del femminismo militante il suo cardine, vi consigliamo piuttosto di recuperare Il Racconto dell’Ancella, la cui attesissima stagione finale è in uscita ad Aprile oltreoceano (mentre non abbiamo una data ufficiale per l’Italia).

Infine, se il basket è la vostra passione e avete deciso di dare una chance a Running Point per entrare nel mondo della pallacanestro, forse farebbero più al caso vostro film come Hustle, con Adam Sandler, e l’iconico Chi Non Salta Bianco È.

Voto: 6.5/10

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