The Residence, recensione: un intricato mistero tra le mura della Casa Bianca

The Residence, ispirandosi a classici del passato come Invito a Cena con Delitto e Signori, il Delitto è Servito, e riprendendo la nuova tendenza lanciata da prodotti quali Only Murders in the Building e la saga di Knives Out, si presenta come una commedia gialla brillante dai toni effervescenti e irriverenti.

Poggiandosi principalmente sul personaggio della detective Cordelia Cupp, geniale investigatrice preceduta dalla fama conquistata sul campo, la serie creata da Paul William Davies racconta di un’improvvisa morte all’interno della Casa Bianca e delle seguenti indagini svolte per appurare i fatti.

La piattaforma di streaming Netflix ha distribuito lo show, prodotto dalla casa di produzione di Shonda Rhimes e ispirato dal saggio The Residence: Inside the Private World of the White House, della scrittrice e giornalista Kate Andersen Brower.

Dopo aver condiviso la nostra spiegazione del finale e dei diversi intrecci di The Residence e aver proposto la nostra recensione di Adolescence, miniserie di tutt’altro tenore disponibile sull’app di contenuti multimediali dalla N rossa, andiamo ad analizzare pregi e difetti della serie che ha fatto il debutto sul piccolo schermo il 20 marzo 2025.

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La trama di The Residence

Il Chief Usher della Casa Bianca viene ritrovato morto in una sala dell’ala residenziale dell’edificio nella stessa serata in cui si tiene una cena di rappresentanza con una delegazione di politici e personalità provenienti dall’Australia.

A dispetto del volere delle altre agenzie d’investigazione, il caso ricade nella competenza della polizia metropolitana di Washington DC che decide di affidarlo alla consulente esterna Cordelia Cupp, detective sopra le righe e dall’incredibile fama.

Nonostante le prime impressioni facciano propendere per il suicidio, l’intervento di Cordelia metterà in risalto diverse incongruenze che paiono evidenziare la possibilità che si sia trattato, piuttosto, di un omicidio.

Mentre l’intrigo si fa sempre più ingarbugliato e con il numero di possibili sospetti che aumenta a ogni nuova scoperta, il lavoro della Cupp sarà messo a dura prova dalla necessità di arrivare presto a una conclusione e dalla resistenza dei colleghi più altolocati della detective e dei rappresentati delle istituzioni, decisi ad archiviare il caso come suicidio.

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Del troppo che stroppia 

La serie sceneggiata da Paul William Davies, si presenta, fin dalle sue prime battute, come un prodotto costruito per divertire e intrigare il pubblico, in un mix costituito da colpi di scena da giallo classico e da situazioni tragicomiche legate ai diversi personaggi e alla condizione del loro ruolo all’interno della Casa Bianca.

Questo tipo di struttura, che come abbiamo detto ha fatto la fortuna di opere recenti e di piccoli cult della seconda metà del ventesimo secolo, permette a The Residence di risultare accattivante sia per gli appassionati dei noir che per gli amanti di narrazioni più leggere e spiritose ma comunque caratterizzate da intuizioni e suggestioni argute e stimolanti.

La stessa detective Cordelia Cupp, intorno a cui ruota tutta la vicenda, sembra prendere spunto tanto dal Tenente Colombo quanto da Sherlock Holmes, intenta com’è a nascondere le sue capacità dietro una passione sfrenata per l’ornitologia e per il birdwatching, hobby da cui nascono gran parte delle sue intuizioni e delle sue metafore e intorno a cui pare aver costruito gran parte del proprio modus operandi.

Il risultato, per quanto già visto, risulta azzeccato e intrattenente, riuscendo a tenere incollato lo spettatore sin dalle fasi iniziali dello show e accrescendone la curiosità con l’entrata in scena del personaggio interpretato da Uzo Aduba, in grado di tenere il proscenio stupendo a ogni nuova illuminazione.

Decisamente riuscito è anche il tono ironico dei dialoghi e delle allusioni a proposito di pregiudizi e piccoli rancori legati a genere, nazionalità e ruolo dei protagonisti, capace di strappare più di qualche risata senza mai scadere nello scontato.

A livello di sceneggiatura, purtroppo, si è deciso di mettere troppa carne sul fuoco per poter pensare davvero di far reggere una trama che, sebbene ben strutturata e spiegata, si perde in alcuni dettagli e in piccole incongruenze che ne inficiano la qualità finale.

Da un certo momento in avanti, infatti, la vicenda si complicherà in maniera inverosimile, con uno script che sarà costretto a qualche salto carpiato di troppo nel tentativo di rimanere coerente e onesto con il pubblico nella sua risoluzione del mistero.

Una sceneggiatura meno labirintica e più snella, in questo senso, avrebbe probabilmente permesso a The Residence di essere più efficace senza necessariamente perdere il suo carattere e il suo fascino, e magari, anzi, accentuandone la forza.

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The Residence mette in mostra, ancora una volta, come il livello dei prodotti televisivi somigli sempre di più a quello delle opere cinematografiche

Come ormai da abitudine per le opere destinate al piccolo schermo, il livello di realizzazione tecnica di The Residence si avvicina a quello delle più importanti produzioni hollywoodiane destinate alla sala, sapendo offrire una regia, un montaggio e una fotografia di livello per tutta la durata degli otto episodi che compongono la prima stagione.

Molto interessante il lavoro fatto dai registi Liza Johnson e Jaffar Mahmood che si sono esibiti in spettacolari riprese aeree, in convincenti carrellate e in piani d’insieme esilaranti, coadiuvati da un montaggio perfetto nel frammentare l’esposizione per mantenere alto il ritmo anche durante le scene degli interrogatori o delle deposizioni, giocando con l’alternanza cronologica per tenere lo spettatore in linea con l’indagine.

Anche la performance degli attori risulta assolutamente convincente, a partire, naturalmente da quelle fornite dalla Aduba, completamente a suo agio nel ruolo, e da Giancarlo Esposito nella parte del rigido, temuto e rispettato A. B. Wynter.

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Una serie che appassionerà gli utenti Netflix

The Residence, pur avendo voluto esagerare nel suo sviluppo eccessivamente complicato, riesce, da buon giallo, a presentare i giusti indizi per imboccare il pubblico e creare i presupposti per diverse teorie su chi possa essere l’assassino, nascondendoli in un racconto frizzante e sempre sopra le righe.

La serie prodotta dalla creatrice di Grey’s Anatomy è, in effetti, una produzione perfetta per passare qualche serata nel tentativo di scoprire la soluzione del mistero (anche se a dire il vero la cosa finisce un po’ in secondo piano, surclassata a livello d’interessa dall’eccentricità della protagonista) senza rinunciare a un’atmosfera gradevolmente leggera.

Un’opera ricca di carattere che, promettendo di tornare con una seconda stagione visti i tanti riferimenti ad altre indagini della detective, si prefigge di stuzzicare l’attenzione degli utenti della piattaforma di streaming, riuscendo nel suo intento di regalare una narrazione divertente, coinvolgente e stimolante.

Voto: 7/10

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