Rollerball, recensione: di libertà cedute, gladiatori sui pattini e imperatori terrorizzati

Rollerball è un film fantascientifico del 1975 diretto da Norman Jewison e adattato dal racconto Roller Ball Murder di William Harrison, responsabile anche della sceneggiatura del prodotto cinematografico

Il lungometraggio, ambientato in un 2018 futuristico e in cui l’assetto della società è cambiato completamente dopo la disgregazione degli stati-nazione e la salita al potere di grandi corporazioni arrivate a spartirsi il controllo del mondo, è incentrato sulla descrizione di un violento sport conosciuto come Rollerball e sulle vicende legate a Jonathan E., campione idolo delle folle.

Costruito sull’idea di una critica sociale mai eccessivamente esplicitata se non attraverso l’esposizione del pensiero del protagonista, la narrazione riesce a fondere la dinamicità dell’azione a momenti più riflessivi e statici in cui, senza scadere in spiegoni didascalici, vengono suggerite suggestioni sul tipo di struttura sociale dell’universo presentato.

Dopo aver condiviso la nostra recensione di Starship Troopers, torniamo dunque a occuparci della fantascienza del ventesimo secolo andando ancora più indietro nel tempo per proporre la nostra opinione dell’opera realizzata dal filmmaker canadese.

Rollerball
Rollerball recensione
Fantascienza
Norman Jewison
William Harrison

La trama di Rollerball

Alla vigilia delle semifinali mondiali di Rollerball, Jonathan E., capocannoniere della squadra di Houston, viene convocato da un dirigente della Società dell’Energia che gli comunica la decisione presa dalle alte sfere a proposito del suo obbligatorio ritiro dalla scena sportiva.

L’atleta, deciso a non lasciare lo sport che da anni gli riempie la vita e sempre più dubbioso a proposito del potere esercitato dalle corporazioni e dai loro leader sulle vite dei cittadini, si ribella alla decisione continuando a seguire la squadra per le ultime partite della stagione.

Il piano per l’evoluzione del Rollerball è però già stato stabilito e Jonathan sarà costretto a mettere a repentaglio tutto per inseguire un senso di libertà che, considerati anche la sua fama e il suo riconoscimento pubblico, preoccupa e mette in allarme la classe dirigenziale.

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Sul prezzo della libertà e sul ruolo esorcizzante e alienante della violenza controllata

Rollerball presenta, sullo sfondo delle ultime partite del campionato sportivo, una realtà globalizzata ormai libera da ogni sorta di conflitto e in cui il benessere economico e sociale è garantito dalla gestione onnipresente dei funzionari di alto rango delle varie corporazioni che controllano ogni sorta di ambito.

I cittadini, comprese le stelle del gioco, sono chiamati a essere disposti a perdere ogni forma di possibilità di scelta e a lasciarsi guidare dalle decisioni dei dirigenti, dimostratisi capaci, nel corso del tempo, di riuscire a soddisfare, almeno all’apparenza, le esigenze di tutti in maniera efficace.

La richiesta fatta a Jonathan di ritirarsi al di là del proprio volere e delle proprie aspettative, potendo essere sicuro di essere ripagato adeguatamente, può essere considerata, da una parte, una evidente dimostrazione di forza delle aziende e, da un altro punto di vista, la consapevolezza della minaccia per il potere rappresentata dalla personalità e dal carisma di un uomo che sappia elevarsi al di sopra del sistema.

Il controllo della popolazione avviene, nel film di Jewison, non attraverso la repressione, quanto, piuttosto, infondendo un senso di sicurezza e di gratitudine nei confronti del governo mondiale, che, almeno all’apparenza, opererebbe per il bene comune.

La distopia morbida risulta in questo modo ancora più efficace e subdola nella sua peculiarità nel togliere ogni forma di libertà e capacità decisionale, elemento che si riflette anche nel contesto sportivo e nella possibilità di cambiare le regole a proprio piacimento.

Il Rollerball diventa quindi centrale nella narrazione di una società che, privata di ogni forma di violenza esplicita, sembra incredibilmente affascinata da quella espressa sul campo, in quello che rimane un gioco (sebbene pensato per ammansire le folle) fino a che regolamentato per poi assomigliare sempre di più a una guerra, o nel migliore dei casi a uno spettacolo gladiatorio utile a saziare e controllare la rabbia degli spettatori e a eliminare fisicamente ogni individualità.

Significative sono, a tal proposito, le sequenze relative alla visione dello speciale su Jonathan, gustato avidamente dai presenti alla cerimonia privata, e al bisogno di liberare una specie di bisogno di distruggere, suggerito da quanto visto sullo schermo e represso a forza senza un’adeguata e probabilmente necessaria valvola di sfogo.

L’altra faccia della medaglia, pericolosa per lo status quo, è, come già detto, costituita dalla popolarità dei giocatori, capaci di diventare punti di riferimento non istituzionali in una realtà in cui l’istituzione sente la necessità di manovrare la vita pubblica anche attraverso l’informazione e lo spettacolo.

A distanza di cinquant’anni dall’uscita di Rollerball fa impressione notare come la metafora di certi meccanismi di controllo (tipici di regimi come quello dell’Unione Sovietica) possano rimandare alla nostra contemporaneità e alla forza persuasiva e pervasiva di grandi multinazionali di dettare stili di vita fino quasi ad annullare qualunque voce fuori dal coro.

I bei vecchi tempi della grana spessa

Anche la qualità tecnica di Rollerball è testimoniata da un aspetto visivo e cinematografico che riesce a non risentire dei cinquant’anni sulle spalle grazie a una regia pulita ed efficace anche nei momenti più concitati, a riprese aeree degne di quelle a cui le moderne tecnologie ci hanno abituato e alle scelte, assolutamente azzeccate, dei colori e delle scenografie.

La grana della pellicola, anacronistica nell’era del digitale, regala ulteriore personalità a un lavoro sulla fotografia che forse soffre di un’eccessiva esposizione nelle riprese esterne e di una saturazione non sempre uniforme e spesso un po’ bassa, ma che rimane comunque eccellente in quanto a personalità e riconoscibilità.

Memorabile la colonna sonora, richiamata anche nell’album musicale a tema fantascientifico Numero 47, di Artificial Kid, e che si avvale di brani di Bach, Šostakovič e Čajkovskij eseguiti dalla London Symhony Orchestra sotto la direzione di André Previn, autore anche di due brani originali realizzati per il film.

Bellissima e assolutamente magnetica, poi, la scena finale, che viene spogliata di qualsiasi fronzolo per mettere in risalto la drammaticità del momento chiudendo la narrazione con il punto esclamativo.

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Rollerball e l’essenza della fantascienza

Senza il bisogno di ricorrere a effetti speciali o visivi di alcun tipo, Rollerball riesce a far immergere in una realtà fittizia che, pur venendo soltanto abbozzata sullo schermo, diviene assolutamente riconoscibile e comprensibile allo spettatore.

Quello creato e sceneggiato per il grande schermo da Harrison è un racconto crudo ed essenziale, che riusciva a parlare al mondo degli anni ’70 e, come spesso capita per le pietre miliari del genere, continua a farlo anche a quello, certamente mutato, lontano decenni dal momento del suo debutto.

Un film da scoprire o riscoprire anche per il fascino retrò che ha assunto e che sa riportare indietro nel tempo i nostalgici a un’epoca d’oro della fantascienza permettendo anche ai più giovani di riviverne in qualche modo i fasti.

Voto: 8/10

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