Scritto e diretto dalla regista olandese Victoria Warmerdam, I’m Not a Robot è un cortometraggio di genere fantascientifico in lingua tedesca, con sottotitoli in inglese, che indaga l’animo umano catapultando lo spettatore in una realtà alternativa in cui la protagonista, interpretata da Ellen Parren, e la sua vita vengono sconvolte da un banale CAPTCHA test online.
Il corto, fruibile sul canale Youtube del magazine statunitense The New Yorker, è il primo in lingua tedesca ad aggiudicarsi il Premio Oscar di categoria: con i suoi ventidue minuti di girato, la filmaker olandese ha colpito la critica, richiamando nel pubblico di appassionati di fantascienza i dilemmi etici portati sul grande schermo, per citare l’esempio più famoso, da Ridley Scott nel suo celebre Blade Runner.
Così, dopo aver condiviso su queste pagine la nostra recensione di The Substance, il body horror con Demi Moore che, sebbene non sia riuscito ad aggiudicarsi l’Oscar 2025 come miglior film, ha ridato lustro a un genere cinematografico considerato per lo più di nicchia, torniamo a parlare degli Academy Awards, presentandovi la coproduzione tra Belgio e Paesi Bassi che ha trionfato quest’anno.
I’m Not a Robot: trama del cortometraggio di Victoria Warmerdam
Nello studio di produzione musicale in cui lavora, Lara, intenta ad ascoltare in cuffia la cover di Creep eseguita dal coro belga Scala & Kolacny Brothers, si ritrova a dover riavviare il suo portatile per un aggiornamento del sistema.
L’aggiornamento le presenta, per essere eseguito, una serie di test CAPTCHA finalizzati a determinare se, dietro lo schermo, si celi un essere umano e non un bot: nonostante la donna ritenga di inserire ripetutamente la risposta corretta, il computer non sembra pensarla allo stesso modo.
Così, frustrata per l’assurdo inconveniente che le sembra esser capitato e che le impedisce di continuare a svolgere il suo lavoro, Lara si rivolge all’assistenza clienti: ciò che scoprirà, dopo aver parlato con l’operatore e fatto ulteriori test, non solo sconvolgerà la sua giornata lavorativa, ma farà vacillare le basi su cui si fonda la sua intera esistenza.

I’m Not a Robot: l’Intelligenza Artificiale può avere coscienza?
Supportato da una colonna sonora evocativa che diviene parte integrante del girato e della narrazione, I’m Not a Robot porta sullo schermo un dilemma che affligge l’essere umano immerso nell’era della tecnica e della tecnologia: il libero arbitrio è appannaggio della sola specie umana?
Ciò che da sempre ha concesso all’uomo di elevarsi, o di ritenersi anche, spesso e fin troppo, superiore al resto degli esseri viventi che coesistono sul pianeta terra, sta nel suo intelletto, legato indissolubilmente alla sua coscienza.
Cosa accadrebbe se, in un futuro non troppo lontano, l’umanità fosse in grado di dar vita a Intelligenze Artificiali capaci di agire al di fuori dei dispositivi elettronici, immergendole nella società e facendo loro credere di avere la possibilità di scegliere come condurre la propria esistenza?
Questo è il tema cardine intorno a cui ruota la sceneggiatura di I’m Not a Robot che pone il pubblico di fronte a sfide dell’etica ancora potenziali, ma che fanno riflettere se si pensi ai passi da gigante che la tecnologia potrebbe fare negli anni o se, semplicemente, si consideri l’essere robot come un’allegoria della condizione vissuta da chi, si voglia per il colore della sua pelle, o per il suo genere biologico o anche solo per le opportunità capitategli, sia costretto a sottostare, spesso impotente, ai dettami della società.

I’m Not a Robot: vale la pena guardarlo?
Il cortometraggio firmato dalla Warmerdam che, come accennato, fa propri gli echi del cult di Ridley Scott e della letteratura di Dick, prendendone in prestito la figura dell’androide organico con le sue complessità e con lo scenario etico che apre la sua stessa esistenza, riesce a portare sullo schermo una fantascienza sì condensata, ma allo stesso tempo ricca di sfumature e interpretazioni.
Le scene a tratti claustrofobiche che compongono I’m Not a Robot, realizzate quasi interamente in Belgio in un arco temporale di circa dieci giorni, riescono a dar vita a un prodotto ben riuscito che, grazie alla fotografia curata da Martijn van Broekhuizen e alla già citata evocativa colonna sonora scelta, sa colpire lo spettatore, forzandolo a un lavoro d’introspezione che oltrepassi la durata del girato.
In conclusione, riteniamo I’m Not a Robot, condiviso con piacere in calce a questa recensione, un gioiellino degli Oscar di quest’anno che vi invitiamo a scoprire, nonostante l’unico modo di disporne sia in tedesco, e soprattutto se, in questi giorni, abbiate avuto modo di apprezzare i sei episodi che compongono la settima stagione di Black Mirror, la serie tv targata Netflix che il corto in questione ricorda decisamente per ambientazioni e tematiche.

Voto: 8/10