Regia: Peter Weir
Cast: Robin Williams, Ethan Hawke, Robert Sean Leonard, Gale Hansen, Norman Lloyd, Dylan Kussman, Josh charles, James Waterston, Melora Walters
Soverchiare un ordine costituito, che sia tirannico, ingiusto o soltanto limitante, é una delle idee più epiche e poetiche che possano essere raccontate.
Ne é dimostrazione lampante la scena finale del film “L’attimo fuggente” di Peter Weir: un gruppo di ragazzini, non tutti i presenti in aula, si badi bene, che si mettono in piedi sul banco, disobbedendo al professore e contravvenendo ad ogni regola di comportamento.
L’autoritarismo contrastato dal basso, invertendo, forse soltanto per un istante, i ruoli, le percezioni e le prospettive.
Una ribellione nata dal pensiero morale di un ragazzo capace di fare suo, masticare, ripensare e mutare in azione un insegnamento ricevuto.
Senza alcun timore per quello che sarebbe potuto sembrare o per le conseguenze.
Una specie di cavalcata delle Valchirie.
Una scena che può risultare attesa ai più smaliziati, forse un po’ banale per i più cinici, ma che sa descrivere con estrema semplicità l’idea della poetica, tanto discussa nel film, e allo stesso tempo sembra essere uno slancio di speranza delicato quanto effimero.
Come una forza inarrestabile che si trovasse di fronte un oggetto inamovibile.
Ma a prescindere da introspezioni VA e analisi altisonanti della scena finale in questione, l’opera, che vede protagonisti assoluti (in un cast che ha lavorato benissimo) Ethan Hawke e Robin Williams, riesce, nella sua interezza, a colpire lo spettatore e ad emozionarlo.
L’attimo fuggente è un film romantico, schietto e divertente.
Crudo.
A volte, forse, anche un po’ banale, ma già è stato detto.
La trama, che racconta di un gruppo di ricchi adolescenti ribelli e di un professore fuori dalle righe, non è preambolo di plot twist sconvolgenti (nonostante la misteriosa setta del titolo originale) ma viene valorizzata dalla fantastica performance di Robin Williams e da una sceneggiatura puntuale, d’impatto e terribilmente sincera, che pare un romanzo di formazione, ricco di fiducia, delusioni, drammi, strade incompiute, patti traditi.
La tragedia e il frivolo.
La regia, sinuosa e leggera, si accompagna perfettamente ad una fotografia capace di costruire l’atmosfera giusta e di amplificare le emozioni con la sua eleganza e sobrietà, in quel modo tanto vicino alla poesia che sembra troppo spesso dimenticato.
Perché il film parla di poesia ed adolescenza e del loro rapporto con un potere tanto austero quanto sordo ad ogni richiesta, o persino esigenza, che sia lontana da un inquadramento che invece ritiene necessario al mantenimento dell’ordine.
Un potere invecchiato e pratico, che solo all’apparenza riesce a distinguere tra la tragedia e la frivolezza.
Come se davvero, nell’esasperante ricerca di noi stessi, possa esistere una distinzione, tra tragedia e frivolezza.
Voto: 8/10
P.S. Hai visto, Preferita, che alla fine l’ho visto? Grazie per il consiglio e azie per tutto il resto.
E, alla fine, hai visto che hai fatto bene a darmi retta, come quasi sempre?