L’attimo fuggente (Dead poets society) (1989)

Regia: Peter Weir

Cast: Robin Williams, Ethan Hawke, Robert Sean Leonard, Gale Hansen, Norman Lloyd, Dylan Kussman, Josh charles, James Waterston, Melora Walters

Soverchiare un ordine costituito, che sia tirannico, ingiusto o soltanto limitante, é una delle idee più epiche e poetiche che possano essere raccontate.

Ne é dimostrazione lampante la scena finale del film “L’attimo fuggente” di Peter Weir: un gruppo di ragazzini, non tutti i presenti in aula, si badi bene, che si mettono in piedi sul banco, disobbedendo al professore e contravvenendo ad ogni regola di comportamento.

L’autoritarismo contrastato dal basso, invertendo, forse soltanto per un istante, i ruoli, le percezioni e le prospettive.

Una ribellione nata dal pensiero morale di un ragazzo capace di fare suo, masticare, ripensare e mutare in azione un insegnamento ricevuto.

Senza alcun timore per quello che sarebbe potuto sembrare o per le conseguenze.

Una specie di cavalcata delle Valchirie.

Una scena che può risultare attesa ai più smaliziati, forse un po’ banale per i più cinici, ma che sa descrivere con estrema semplicità l’idea della poetica, tanto discussa nel film, e allo stesso tempo sembra essere uno slancio di speranza delicato quanto effimero.

Come una forza inarrestabile che si trovasse di fronte un oggetto inamovibile.

Ma a prescindere da introspezioni VA e analisi altisonanti della scena finale in questione, l’opera, che vede protagonisti assoluti (in un cast che ha lavorato benissimo) Ethan Hawke e Robin Williams, riesce, nella sua interezza, a colpire lo spettatore e ad emozionarlo.

L’attimo fuggente è un film romantico, schietto e divertente.

Crudo.

A volte, forse, anche un po’ banale, ma già è stato detto.

La trama, che racconta di un gruppo di ricchi adolescenti ribelli e di un professore fuori dalle righe, non è preambolo di plot twist sconvolgenti (nonostante la misteriosa setta del titolo originale) ma viene valorizzata dalla fantastica performance di Robin Williams e da una sceneggiatura puntuale, d’impatto e terribilmente sincera, che pare un romanzo di formazione, ricco di fiducia, delusioni, drammi, strade incompiute, patti traditi.

La tragedia e il frivolo.

La regia, sinuosa e leggera, si accompagna perfettamente ad una fotografia capace di costruire l’atmosfera giusta e di amplificare le emozioni con la sua eleganza e sobrietà, in quel modo tanto vicino alla poesia che sembra troppo spesso dimenticato.

Perché il film parla di poesia ed adolescenza e del loro rapporto con un potere tanto austero quanto sordo ad ogni richiesta, o persino esigenza, che sia lontana da un inquadramento che invece ritiene necessario al mantenimento dell’ordine.

Un potere invecchiato e pratico, che solo all’apparenza riesce a distinguere tra la tragedia e la frivolezza.

Come se davvero, nell’esasperante ricerca di noi stessi, possa esistere una distinzione, tra tragedia e frivolezza.

Voto: 8/10

P.S. Hai visto, Preferita, che alla fine l’ho visto? Grazie per il consiglio e azie per tutto il resto.

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