Il seme della follia (1994)

Regia: John Carpenter

Cast: Sam Neill, Jürgen Prochnow, Julie Carmen, Wilhelm von Homburg

John Carpenter, Stephen King e Howard Phillips Lovecraft.


Il meglio dell’horror compresso in un’ora e mezza di pellicola.

L’omaggio, esplicito e sentito, di un maestro ad altri due capisaldi del genere.

“Il seme della follia” racconta di universi ostili, che sfiorano ed entrano in contatto con il nostro, abitati da creature raccapriccianti, e di una schizofrenia che si diffonde inesorabilmente, goccia dopo goccia, fino a sommergere il mondo dei protagonisti, in una storia che fa della metanarrazione uno dei suoi punti di forza.


Capenter riesce, come al solito, nell’azzardo di un film più complesso di quello che apparirebbe dalla sola facciata, capace di dettare i nuovi temi del genere e di acquisire valore e considerazione nel corso del tempo.

Il film è il terzo capitolo della “Trilogia dell’apocalisse”, preceduto da “La cosa” e “Il signore del male”, con i quali condivide la stessa visione pessimista della società, declinata in modo diverso a seconda delle vicende narrate.


Ci torneremo su, forse.


John Trent, interpretato da un credibilissimo ed ispirato Sam Neill, è un accertatore assicurativo freelance, abile e scaltro nell’individuare truffe e messinscene.


Quando una casa editrice denuncia la scomparsa di un prolifico e celebre autore horror, Sutter Cane (Jürgen Prochnow) l’assicurazione chiamata in causa, volendo vederci chiaro, incarica Trent di indagare sul fatto.


La diffidenza e l’istinto dell’investigatore si troveranno a scontrarsi con delle situazioni sempre più assurde ed oscure, fino al finale, anticipato, soltanto in parte, dal prologo del film in cui il protagonista, rinchiuso nella cella di un ospedale psichiatrico, racconta le vicende che lo hanno condotto alla follia.

La struttura narrativa, così impostata, somiglia a quelle tipiche del solitario di Providence, e, come per altri film di Capenter (qualcuno ha sussurrato “La cosa”?), lo stesso vale per le atmosfere e le creature che popolano il mondo multidimensionale presentato da “Il seme della follia”, mentre lo stesso titolo, la tensione crescente e la sensazione di cadere sempre di più in una spirale da cui sia impossibile sfuggire, ricordano la straordinaria capacità di Stephen King di esprimere l’idea di una pazzia che dilaghi sempre di più, come un’erbaccia infestante (qualcuno ha detto “Cose preziose”?).


Stephen King che, probabilmente, ispira anche lo stesso personaggio di Sutter Cane, in qualche modo antagonista della vicenda, sia per quanto riguardi semplicemente la figura di scrittore mainstream, idolatrato da molti e bistrattato da altrettanti, quanto quella di profeta maledetto i cui scritti sono capaci di aprire varchi verso altri universi (qualcuno ha urlato “La torre nera”?).


La metanarrazione (che esplode nella scena finale) e l’introduzione del concetto di uno scrittore che somigli ad un esecutore divino costituiscono il punto centrale intorno a cui sviluppare l’idea di un’umanità abbandonata in un universo in decostruzione, in balia di divinità terribili e inenarrabili.


Carpenter, dal canto suo, è come sempre riconoscibile nel suo stile e magistrale nel far rapportare lo spettatore con un terrore concreto capace però anche di specchiarsi, allo stesso tempo, con uno più strisciante, nascosto, politico e quasi epidemico, che impregni la società dal profondo.


“Il seme della follia”, sorretto dalla solita colonna sonora dello stesso Carpenter, è angosciante e subdolo, privo degli inutili artifici dei film dell’orrore che abbiano la sola pretesa di far saltare dalla poltrona lo spettatore e ricco, piuttosto, di scene e momenti iconici, capaci di rimanere in testa e di raccontare anche quella che è l’idea dietro il terrore.


Momenti in grado di trasmettere la paranoia che probabilmente ha intriso i pensieri di Carpenter e dei suoi due modelli di ispirazione da sempre, straripando nella produzione artistica che ci hanno o ci stanno lasciando in dono.
La regia è perfetta in tal senso, mantenendo un ritmo che cresce costantemente fino a cali improvvisi nel ritmo e nella tensione, perfetti per introdurre ulteriori picchi, talvolta istantanei, che preparino per una nuova corsa.


Il comparto tecnico si presenta positivamente nonostante gli effetti speciali risultino ormai datati e il cast si affianca in maniera impeccabile alla memorabile prestazione di quello che per molti è uno dei più celebri paleontologi della storia del cinema.

Se proprio si volesse essere pignoli, e in qualche modo anche blasfemi, bisognerebbe sottolineare come i tempi dettati dal formato cinematografico risultino forse un po’ stretti ad una trama, a dei personaggi secondari e ad uno svolgimento che sarebbero potuti essere maggiormente approfonditi in un media letterario o in un formato oggi molto diffuso (se non inflazionato) come quello delle serie tv.


“Il seme della follia” è un horror ben scritto, che si lascia andare a piccole sperimentazioni stilistiche senza metterlo troppo in mostra, lasciando il ruolo da protagonista all’idea centrale della trama, complessa ma spiegata e resa perfettamente sullo schermo dal creatore di “Halloween”.


Per gli amanti dei film dell’orrore, ma non solo, “Il seme della follia” è un’opera da recuperare e guardare con attenzione, che si inserisce alla perfezione nella straordinaria cinematografia di uno degli artigiani storici del cinema di genere.


Perché l’horror può essere un genere serio, ben realizzato e destinato anche al pubblico più sofisticato: e chi non dovesse essere convinto da questo pensiero, dovrebbe forse leggere qualcosa di Sutter Cane.

Voto: 8/10

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